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“Allievi” sfruttati come manovalanza e Tutor clinici che insegnano le procedure secondo la “Regola dell’abbiamo sempre fatto così”. Una testimonianza

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"Allievi" sfruttati come manovalanza e Tutor clinici che insegnano le procedure secondo la "Regola dell'abbiamo sempre fatto così". Una testimonianza
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Il corso di laurea in Infermieristica ha come principale punto di forza il tirocinio clinico.

Oltre 1800 ore di esercitazioni pratiche sono distribuite nell’arco dei tre anni generalmente come segue:

  • 450 ore il primo anno
  • 600 ore il secondo anno
  • 750 ore il terzo anno

Sofia D’Angelo, ex studentessa della Sapienza, sede distaccata di Cassino, ha raccontato la propria esperienza al magazine Mediaperiscope.

La 24enne, attualmente impiegata in un laboratorio analisi, si sofferma sull’aspetto pratico del corso di Laurea: il tirocinio clinico.

Nel corso del suo praticantato presso l’ospedale Santa Scolastica di Cassino, è stata assegnata a reparti quali Chirurgia, Dialisi, Ginecologia e Gastroenterologia.

Analizzando quanto riferito dalla studentessa possiamo subito scorgere un problema tipico di molte realtà ospedaliere.

Anziché utilizzare le procedure apprese in università che, si spera rispecchiassero alla lettera le più recenti linee guida internazionali, gli infermieri applicavano la loro tecnica personale acquisita nel corso dell’esperienza.

Io faccio così, poi gli altri non lo so

Secondo l’ex studentessa, ogni tutor che supervisionasse il suo operato stravolgeva quanto appreso in università e quanto appreso da altri colleghi tutor stessi.

Non capivo quale fosse la procedura giusta da applicare

Sofia prosegue questa interessante intervista.

Non posso affermare di aver imparato qualcosa svolgendo il tirocinio; se ho appreso delle cose è perché le ho studiate sui libri oppure perché sono state dette dai professori durante i corsi universitari“.

Sofia attribuisce le responsabilità di questa situazione alla carenza cronica di personale e alla presenza di veri tutor investiti nel ruolo e soprattutto gratificati:

“C’erano un certo menefreghismo e una certa apatia da parte degli infermieri: non amavano guidare i tirocinanti che arrivavano in ospedale, li lasciavano da soli ad applicare direttamente le cose che imparavano all’università, senza una guida”

La mancanza del materiale didattico viene messo in evidenza dalla giovane infermiera:

“Un giorno, alla fine del corso, la professoressa ci disse che, se volevamo, potevamo esercitarci tra di noi per fare i prelievi. Non eravamo obbligati, infatti io non l’ho fatto, ma gli altri sì: sono andati alla cattedra e hanno iniziato a bucarsi a vicenda con le siringhe per imparare la tecnica del prelievo di sangue.”

I dispositivi da utilizzare per molte procedure infermieristiche non erano fisicamente presenti in aula venendo descritti solo teoricamente. Nemmeno durante le esperienze di tirocinio lo studente aveva la possibilità di visionare tali dispositivi.

“All’esame di tirocinio rischiavamo di essere messi di fronte a strumenti che non conoscevamo. Solo tre giorni prima i professori decidevano di mostrarci quegli strumenti di cui avevamo solo parlato.”

L’Infermiera descrive come gli attrezzi del “mestiere” illustrati a lezione fossero assolutamente obsoleti: “Alle domande fatte durante gli esami di tirocinio rispondevamo con strumenti ormai in disuso, perché erano quelli che ci erano stati riferiti a lezione! I professori esaminatori restavano molto stupiti, quasi si mettevano a ridere, e noi capivamo che quello che avevamo imparato in aula fosse stato praticamente inutile.”

Sofia racconta la “giornata tipo” di uno studente di infermieristica: lezioni dalle 8 alle 18.30 e turni di tirocinio suddivisi in mattine da 7 ore, pomeriggi da 8 ore e notti da 9 ore. Oltre a tutto ciò occorre trovare il tempo necessario da dedicare allo studio di materie scientifiche spiegate da medici che pretendono di ricevere risposte degne del miglior studente di medicina agli esami.

Descrive l’esperienza di tirocinio in sala parto come la migliore in assoluto: “Le infermiere erano più gentili e rilassate: qui i tirocinanti si occupavano di assistenza pre-, intra- e post-partum, ed erano incaricati anche della pulizia della sala parto, una mansione che, come l’igiene dei pazienti, rientra maggiormente nella formazione degli operatori socio sanitari che degli infermieri.”

Alla fine del colloquio l’intervistata ha affermato a caldo: “Non è stata un’esperienza molto positiva, sono contenta che sia finita. Mi sento insicura e non posso dire di saper fare tutto, ma di avere tante cose da imparare. Ed è per questo che non mi sento molto pronta per affrontare un reparto ospedaliero da sola”.

Dalle parole di Sofia è possibile evincere come il tirocinio così strutturato sia completamente inutile per la formazione dello studente e come questa attività sia finalizzata esclusivamente alla compensazione delle carenze di personale di supporto.

Simone Gussoni

Fonti: Mediaperiscope.it

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