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Infermieri e assistenza: quel patto con i cittadini che garantisce la salute

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Medici e infermieri in fuga dall'Italia: Lombardia al primo posto. Amsi e Umem: "Si rischia un vero e proprio esodo"
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Documento ancora troppo poco conosciuto ma non per questo privo di importanza, il Patto Infermiere – Cittadino risale alla metà degli anni ‘60 e può essere considerato “parte integrante” del codice deontologico della professione infermieristica.

Ma di cosa si tratta e cosa prevede?

“Io infermiere mi impegno nei tuoi confronti a: presentarmi al nostro primo incontro, spiegarti chi sono e cosa possa fare per te…”.

Esordisce con queste parole il Patto Infermiere-Cittadino che il 12 maggio 1966 ha sancito formalmente l’umanizzazione dell’assistenza infermieristica attraverso la centralizzazione della relazione che si viene a creare tra la parte che tutela la cura, ovvero gli infermieri e la parte che ha diritto di riceve la cura, cioè i cittadini/utenti.

Con il patto del 1966, infatti, gli infermieri si impegnano ad agire quotidianamente a sostegno di ogni singolo assistito, per permettere a ciascuno di loro di continuare a percepirsi prima come persona e poi come paziente con problemi di salute. Ecco perché l’infermiere valuta il bisogno della singola persona, pianifica una vera e propria strategia d’intervento oppure indirizza a chi di competenza il paziente affinché si possa intervenire nel modo e nei tempi necessari. Non si limita, perciò, solo a sostenere l’assistito ma si spinge oltre e più in profondità fino a quella che è la tutela del paziente.

Per questo non si può parlare di “semplici infermieri’ ma di veri e propri garanti del diritto alla salute, come d’altronde, già veniva sottolineato nel Patto Infermiere-Cittadino del 1966.

I termini linguistici utilizzati nel testo sono una dimostrazione di questo voler dare tutela ad ‘un’assistenza umanizzata” per esempio quando si esprime la di necessità di sapere chi sia l’assistito, di riconoscerlo, di chiamarlo per nome e cognome, necessità che si contrappone all’esigenza dell’infermiere di farsi, a sua volta, riconoscere attraverso la divisa e il cartellino nominativo per poter dare risposte chiare e comprensibili e fornire informazioni utili ad agevolare il percorso di cura del paziente.

Ma l’elemento dell’umanità che si vuole perseguire attraverso la gestione assistenziale e che, a tratti, sembra voler essere quasi un tentativo più incisivo di individualizzazione delle cure, traspare anche in altri punti del patto in particolare quando si parla di favorire le relazioni sociali e familiari dell’assistito, di individuare i suoi bisogni, di condividerli, di proporre possibili soluzioni adatte alle problematiche di chi viene preso in carico e, soprattutto, nel momento in cui si afferma la volontà di insegnare alla persona quali sono i comportamenti più adeguati per ottimizzare il proprio stato di salute nel rispetto delle sue scelte e del suo stile di vita.

È proprio in questo ultimo punto che traspare, in tutta la sua potenza, la vera essenza della nostra professione: agire in qualità di garante della salute dell’assistito con il fine ultimo di aiutarlo a prendere scelte terapeutiche consapevoli e di supportarlo nella difesa dei diritti di cui è portatore; una vera propria advocacy oggi ritenuta il principio cardine dell’assistenza infermieristica.

Certamente il Patto Infermiere-Cittadino risulta datato e necessiterebbe di essere revisionato e aggiornato alle attuali esigenze del nostro SSN ma in realtà, oggi più che mai, quello che ne ostacola la conoscenza e la concreta applicazione sono le svariate problematiche che affliggono il nostro sistema salute e la nostra professione.

Va da sé che la carenza del personale, principale causa di una figura professionale ridotta ad un factotum della sanità, unita a strutture e risorse destinate alle cure troppo spesso carenti sia in termini di efficacia che di efficienza, rendono praticamente impossibile agli infermieri il farsi garanti di un’assistenza a misura d’uomo e li allontana, inoltre, da quello che è il loro ruolo di “linkers” nel percorso di guarigione del paziente.

La domanda, quindi, sorge quasi spontanea: attualmente chi è l’infermiere e quali sono i suoi veri compiti all’interno del sistema sanitario? Forse tutto quello che sta accadendo impone un’analisi approfondita e dettagliata dei principi enunciati nel Patto Infermiere-Cittadino o, quanto meno, una scrupolosa riconsiderazione della professione stessa.

Samanta Sforna

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