La crisi occupazionale che affligge il nostro Paese spinge sempre più giovani ad emigrare in cerca di maggiori fortune. Il settore sanitario, che un tempo non soffriva di queste problematiche, vede oggigiorno sempre più professionisti trasferirsi all’estero per poter lavorare.
Di seguito viene riportata l’intervista di un giovane infermiere italiano, M.B., che per poter esercitare la professione ha deciso di emigrare nel Regno Unito.
Benvenuto M.B., raccontaci quale sia stato il tuo percorso di studi ed il tuo primo approccio nel mondo del lavoro.
Mi sono laureato presso l’Università La Sapienza nel mese di aprile 2013 ottenendo una valutazione di 110 e lode.
Terminato il percorso di studi ho cominciato a mandare curricula in giro tra case di riposo ed associazione di volontariato, ma nulla.
Sono stato contattato solamente da una pubblica assistenza per la quale ho svolto 4 turni da circa 10 ore impegnato in trasporti su ambulanze private. Non essendo retribuito ho lasciato stare dato che ogni volta che chiedessi almeno un rimborso per la benzina ogni interlocutore girava attorno al discorso.
Ho fatto qualche altro turno presso un’altra pubblica assistenza di un conoscente, si trattava di un progetto appena nato e gli serviva una mano che ero ben felice di potergli dare pur di fare qualcosa, lui perlomeno mi rimborsava le spese per la benzina. Ma ovviamente questo non mi consentiva di avere una vita propria. Questo è il riassunto del mio primo anno post laurea.
Successivamente ho iniziato ad osservare il mercato estero. Ero inizialmente attratto dalla Germania. Tramite un’agenzia che faceva da tramite con alcune aziende tedesche sono arrivato a fare un colloquio con queste. C’erano molti altri colleghi entusiasti della prospettiva è volendo si poteva firmare un pre-contratto se tutto fosse andato bene durante l’incontro.
Si trattava di assistenza domiciliare: paga buona, macchinari all’avanguardia, ma si richiedeva anche di pulire casa, cucinare e accompagnare il paziente dove serviva all’occorrenza. Ho rifiutato perché non era questa la professione per la quale avevo studiato.
Ho proseguito le mie ricerche su internet ed ho trovato il sito di Eures, il portale giovanile per la mobilità europea.
Qui ho conosciuto “YFEJ, your first Eures job“, un programma finanziato dalla Comunità Europea per la mobilità di professionisti in Europa.
Mi sono iscritto e dopo pochi giorni ho ricevuto una mail riguardante la possibilità di fare colloqui per ospedali nel Regno Unito.
Era giugno 2014, e nel frattempo portavo ancora curricula nelle strutture sanitarie private, venendo addirittura deriso da alcune segretarie che giudicavano la mia situazione, come quella di qualsiasi neolaureato che presentava il proprio curriculum, disperata.
Al primo incontro avuto con l’agenzia di reclutamento che faceva da intermediario tra Eures e gli ospedali inglesi, ci hanno spiegato in cosa consistesse il tutto, descrivendoci la struttura del sistema sanitario…il tutto in inglese. E per finire un test linguistico. Ai meno preparati veniva offerto un corso di preparazione al colloquio.
Successivamente è stata definita la data dei colloqui con la “Matron” (coordinatrice infermieristica) e due “Senior Charge Nurses” (infermieri esperti) direttamente dall’agenzia di reclutamento.
Ho quindi sostenuto una prova scritta di pianificazione assistenziale ed un esercizio di farmacologia (drug calcolation). Superata la prova scritta ho sostenuto la prova orale con lo staff della struttura.
Terminata la prova selettiva quale iter burocratico hai dovuto sostenere?
Per lavorare in Inghilterra sono richiesti molti documenti: casellario giudiziario, carichi pendenti, certificato di nascita internazionale, certificato di laurea. Ogni documento deve essere autenticato e tradotto, con traduzione giurata.
Puoi descrivere il tuo primo approccio con il Regno Unito?
Arrivati all’aeroporto di Londra venimmo accolti da due funzionari dell’agenzia intermediaria che offrirono la cena all’intero gruppo composto da circa 20 infermieri italiani. Ci dovemmo da subito arrangiare prenotando una stanza in un hotel per due giorni, successivamente avremmo dovuto provvedere a trovarci una sistemazione in un appartamento condiviso.
Dal lunedì successivo avrebbe avuto inizio il programma di “induction“, ovvero orientamento nell’ambiente inglese, tra protocolli e istruzioni operative. Alcune lezioni erano tenute fuori dall’ospedale, altre erano effettuate in reparto.
Nel frattempo in reparto mi trovavo in una fase chiamata “supernumerary” ovvero affiancamento che, generalmente termina dopo un mese, ma non avendo ricevuto ancora il PIN dal collegio inglese come infermiere registrato, non potevo appunto esercitare la professione.
Fui destinato in pianta stabile nel reparto ACCU del Royal London Hospital, ovvero Adult Critical Care Unit, in pratica una terapia intensiva traumatologica. In fase di affiancamiento potevo prevalentemente osservare l’operato dei colleghi aiutandoli a ruotare i pazienti ogni 3 ore e rilevando parametri vitali dai monitor ogni ora, per le 12 ore del turno.
Terminata la fase di osservazione durata 4 mesi (causa problemi burocratici) fui inserito nell’organico in pianta stabile . Il lavoro in Inghilterra permette di avere molto tempo libero, la turnazione prevede 4 gironi consecutivi in reparto: 2 turni di giorno (dalle ore 8 alle ore 20) e 2 turni notturni (dalle ore 20 alle ore 8). Successivamente posso usufruire di 4 o 5 giorni liberi consecutivi. Il monte ore complessivo ammonta a circa 150 ore mensili.
Come si svolge il lavoro in reparto?
Sono molto stimolato dalla realtà nella quale sonore immerso. Ogni infermiere gestisce un unico paziente per turno che viene assegnato quotidianamente dalla responsabile di reparto. Trattandosi di pazienti politraumatizzati spesso é necessario chiamare in aiuto più infermieri, soprattutto per la mobilizzazione a letto. Posso disporre anche di figure di supporto denominate “Health Care Assistants” ovvero l’equivalente della figura dell’operatore socio sanitario.
Nel complesso lavorare in Inghilterra rappresenta un’esperienza positiva anche se in Italia l’infermiere gode di maggiore autonomia professionale. Ogni terapia endovenosa prima di essere somministrata deve essere controllata da due infermieri in modo da evitare errori di riconoscimento del paziente ed errori di somministrazione. Il personale inglese è abituato a seguire alla lettera i protocolli ma in caso di situazione imprevista dimostra di avere maggiori difficoltà nella gestione della stessa essendo legato a rigidi schemi operativi. In Italia non è uso comune utilizzare protocolli, questo spinge gli infermieri a ragionare maggiormente sulla situazione clinica in corso e in caso di emergenza questo processo mentale risulta essere di grande aiuto dimostrando una migliore preparazione.
Le lesioni da pressione sono gestite dal “Tissue Viability Nurse“, un infermiere specializzato in lesioni da pressione che controlla il grado e stabilisce il piano di assistenza.
Le attività che si svolgono durante un turno diurno sono molteplici. La mattina si aggiornano tutti i documenti riguardanti gli accessi venosi e arteriosi, cateteri, terapie antibiotiche in corso e si prepara tutto ciò che può servire durante il “Ward Round” dove i medici decidono il piano da seguire per la giornata. Nel turno notturno, si inviano i prelievi di sangue in laboratorio, si svuota la sacca delle urine per azzerare il bilancio idrico, si azzerano le pompe infusionali, verso le ore 22 si lava il paziente.
Ho dovuto abbandonare questa realtà poiché non avevo modo di incastrare i miei turni con quelli della mia fidanzata. Attualmente lavoro in emodinamica sempre per la stessa azienda pubblica. L’amore è la passione per il paziente cardiaco che ho sempre avuto non trovava sbocchi in questa realtà. Spesso mi sono sentito considerato più come un semplice numero che come una persona.
Lo stipendio percepito ti permette di condurre una vita decorosa?
Lo stipendio di 2200 euro al mese che spetta ad un Band 5, ovvero un neolaureato permette di vivere modestamente in una realtà come quella londinese esclusivamente afruttando una stanza in un appartamento condiviso. Non mi posso permettere vizi particolari.
Vorresti tornare a lavorare in Italia un giorno?
Certo, vorrei tornare in Italia un giorno, ma temo che, non appartenendo più alla realtà locale, rischierei di non trovare nuovamente lavoro.
Voglio il sole, e un posto “vivo” dove poter pensare ad avere una famiglia, e l’Italia lo è. Qui, intendo Londra, per ogni movimento che fai devi calcolare quanto spendi, in più Londra è una città fondata sul denaro e un bambino non cresce bene in un ambiente simile.
Ringraziamo M.B. per la dettagliata testimonianza fornita. Sono certo che queste informazioni potranno risultare di enorme aiuto a molti infermieri precari o disoccupati che stanno valutando se intraprendere un percorso simile.
Vale la pena abbandonare il bel paese per ottenere un posto di lavoro sicuro dato che in Italia non esistono più molte certezze?
Simone Gussoni
Lascia un commento