La IV Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21285 del 16.02.2013 ha condannato per omicidio colposo un infermiere per la mancata apposizione delle spondine del letto.
Il caso riguardava il decesso di un paziente ricoverato presso l’Unità di Terapia Intensiva Coronarica per la mancata apposizione, da parte dell’infermiere, poi condannata per omicidio colposo, delle spondine al letto.
Il paziente era ad elevato rischio di caduta per grave agitazione, disorientamento e confusione mentale.
Il fatto che il paziente avesse rifiutato l’apposizione delle spondine, apposizione che, secondo l’interpretazione della Suprema Corte, avrebbe contribuito a diminuire fortemente il rischio di caduta, non esonerano il sanitario da responsabilità per omicidio colposo in caso di decesso per grave trauma contusivo conseguente a caduta accidentale.
Né può essere richiamato, a difesa dell’infermiere, il comportamento negligente tenuto dagli altri operatori sanitari dal momento che la posizione di garanzia ricoperta dallo stesso infermiere nei confronti del paziente determina l’ obbligo di adozione di misure preventive atte ad evitare il verificarsi di eventi accidentali.
Tale posizione di garanzia rivestita dal sanitario pubblico costituisce espressione dell’obbligo di solidarietà garantito dalla Costituzione (Art. 32 “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti“), funzione che gli conferisce addirittura l’obbligo giuridico di intervenire sancito dall’art. 40 Codice Penale secondo il quale “non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire equivale a cagionarlo“.
Non solo.
Le professioni sanitarie in genere, costituiscono “servizi di pubblica necessità” ai sensi dell’art. 359 C.P., e implicano talora l’uso di violenza personale nell’interesse del paziente.
A tale proposito l’art. 54 del Codice Penale prevede che il sanitario possa addirittura prescindere dal consenso (e nella fattispecie oggetto della fattispecie vi era il rifiuto del paziente all’applicazione delle spondine) oltre al caso in cui sia stato disposto un trattamento sanitario obbligatorio) qualora sussista “la necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo“.
Il problema delle misure di contenzione è delicato e l’Ordinamento giuridico non fornisce risposte certe ed assolute.
Da un lato abbiamo la Costituzione italiana che, come noto, all’art. 13 sancisce l’inviolabilità della libertà personale.
Dall’altro basta una semplice malattia, una perturbazione della mente o, più semplicemente, la vecchiaia, perché questo fondamentale diritto venga messo in discussione.
Oggi abbiamo una sentenza che condanna per omicidio colposo un infermiere per la mancata applicazione delle spondine al letto di un paziente fortemente agitato.
Il 30.10.2012 il Tribunale di Vallo della Lucania ha, invece, condannato sei medici del reparto di psichiatria dell’ospedale San Luca per i reati di falso, sequestro di persona e morte come atto conseguente ad altro reato in ordine alla morte di Francesco Mastrogiovanni, deceduto nel 2009 dopo una contenzione durata novanta ore.
Quid iuris?
Redazione Nurse Times
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