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Infermiere di famiglia: sul territorio al fianco dei medici

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Molise, al via il progetto pilota per l’infermiere di famiglia e comunità
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Aumentano le istanze per la definitiva introduzione di questa figura professionale in Italia.

Bussare all’ambulatorio e trovare, oltre al proprio medico di fiducia, anche un infermiere pronto a un prelievo o a una medicazione, oppure ad assistere il paziente che ha bisogno di cure domiciliari perché non può muoversi. L’infermiere di famiglia potrebbe diventare presto una realtà in tutta Italia. Già alcune Regioni hanno deliberato per la sua introduzione (Lombardia, Piemonte, Toscana e, da poco, Lazio), mentre altre (Friuli, Emilia, Puglia e Valle d’Aosta) hanno attivato delle sperimentazioni.

Ora la nuova bozza del Patto per la salute lo scrive nero su bianco, puntando sull’implementazione sul territorio di esperienze assistenziali efficaci “a partire dall’infermieristica di famiglia e comunità”. E anche in Parlamento si moltiplicano le iniziative: nei giorni scorsi è stata presentato in Senato un ddl a prima firma del senatore Gaspare Antonio Marinello (Cinque Stelle), seguito da un altro, in 12 articoli, che sarà depositato in questi giorni alla Camera dalla deputata Stefania Mammì (sempre Cinque Stelle). Che ne spiega così la filosofia: «Questo infermiere si occuperà dei bisogni complessivi delle famiglie: da chi è sano e deve salvaguardare la propria salute attraverso un’azione di educazione fino alle necessità assistenziali complesse dei pazienti cronici». Nel ddl ci sarà anche il richiamo a un decreto con cui il ministero della Salute dovrà fissare un tariffario per le prestazioni, «anche perché questa figura produrrà risparmi per il Ssn, riducendo gli accessi al pronto soccorso e alle degenze ospedaliere».

La via, insomma, è segnata: si passerà per il Patto per la salute e un’intesa Stato-Regioni oppure si seguirà la via della legge in Parlamento. Ma quale dovrebbe essere l’identikit e quanti infermieri di famiglia serviranno? La Fnopi Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche) ha calcolato che per far fronte nell’immediato al bisogno di salute sul territorio delle persone con patologie croniche e non autosufficienti (in Italia più di 16 milioni), oltre ai medici di medicina generale per quel che attiene alla diagnosi e alla terapia, servono almeno 31mila infermieri per l’assistenza continua (uno ogni 500 persone con queste caratteristiche).

Uno dei nodi fondamentali da sciogliere riguarda la forma contrattuale per questi infermieri: se non dipendenti delle aziende sanitarie (forse un problema dal punto di vista dell’organizzazione del lavoro), potrebbe essere anche quella libero-professionale o convenzionata con il Ssn, proprio come i medici di famiglia. In questo modo l’infermiere di famiglia potrebbe anche dividere col medico il rischio d’impresa.

L’idea è quella di creare una microequipe medici-infermieri sul territorio per garantire cure e assistenza a 360 gradi. Con una attività ambulatoriale che finalmente potrà prevedere l’erogazione delle prestazioni di maggiore richiesta da parte dei pazienti (prelievi, medicazioni, iniezioni, infusioni, controllo e monitoraggio dei parametri vitali, ecc.), oltre all’orientamento e all’informazione sull’offerta sanitaria, migliorando così l’accesso e l’utilizzo dei servizi sanitari pubblici. Ma medici e infermieri di famiglia potranno lavorare insieme anche su un fronte da sempre scoperto sul territorio: quello della promozione di interventi di educazione alla salute.

Infine l’infermiere di famiglia potrà essere prezioso a livello domiciliare per garantire assistenza domiciliare a pazienti che non possono recarsi in ambulatorio per gravi patologie o che necessitano di assistenza infermieristica a medio-alta complessità. «L’infermiere di famiglia è la naturale risposta, in questo quadro di salute, alla richiesta dei cittadini di interventi strutturati, di ampio respiro e che richiedono continuità e trasversalità», sostiene Barbara Mangiacavalli, presidente Fnopi, che sottolinea come l’infermiere di famiglia sia «il care manager, il welfare manager, l’asso nella manica per soddisfare, con il medico di famiglia clinical manager, i bisogni emergenti e sempre maggiori di cronici e non autosufficienti, i cui numeri sono in costante crescita».

Redazione Nurse Times

Fonte: Il Sole 24 Ore

 

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