La Corte appello aveva confermato la condanna inflitta in primo grado al medico competente di un ospedale, condannato per il reato di lesioni personali colpose, per aver omesso di collaborare con il datore di lavoro nella valutazione del rischio biologico rappresentato, per il personale sanitario addetto all’UO di P.S. del presidio ospedaliero, anche dalla possibile contrazione di patologie infettive per via ematica a causa di punture e ferite con aghi e taglienti contaminati da sangue infetto.
La tesi difensiva dichiarava che erroneamente a rispondere del reato era stato chiamato soltanto lui, posto che egli era stato ritenuto corresponsabile con i soggetti (il datore di lavoro e il direttore del Pronto soccorso) con i quali era chiamato a collaborare, nonostante questi ultimi fossero stati assolti.
La Corte di Cassazione, Sez. IV, con la sentenza 1° giugno 2021, n. 21521, nel disattendere la tesi difensiva, ha invece ribadito che l’obbligo di collaborazione con il datore di lavoro da parte del medico competente, il cui inadempimento integra il reato di cui agli artt. 25, comma 1, lett. a) e 58, comma 1, lett. c), del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, comporta un’effettiva integrazione nel contesto aziendale del sanitario, il quale non deve limitarsi ad un ruolo meramente passivo, ma deve dedicarsi ad un’attività propositiva e informativa in relazione al proprio ambito professionale.
Ne consegue, infine, che il medico competente è titolare di una propria sfera di competenza, trattandosi di un garante a titolo originario e non derivato, sicché sulla sua posizione non influiscono le vicende che riguardano gli altri soggetti della sicurezza.
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