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Massimo Randolfi

Il raccondo di due infermieri militari, il loro incontro con il partigiano Bartolomeo

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L’Infermieristica militare, un pezzo importante del variegato mondo degli infermieri impiegati in ogni dove, ha partecipato, insieme ai colleghi del SSN, alla drammatica lotta contro il coronavirus.

La grave emergenza che ha colpito il mondo intero, ancora lontana dall’essere superata completamente, ci ha donato il racconto di una commovente esperienza vissuta da due colleghi Infermieri militari impiegati in una RSA della Liguria con un loro anziano paziente.

Una testimonianza che ci fa ben comprendere il rapporto che si instaura tra gli Infermieri e i loro assistiti; che fa percepire l’essenza della professione: il paziente viene preso in carico nella interezza della sua componente umana fino ad arrivare a comprendere e a soddisfare i bisogni assistenziali più intimi.

Nel racconto si percepisce tutta la fragilità dell’essere umano e, allo stesso tempo, si intravede la forza prorompente del vissuto di un uomo che ha fatto la storia della nazione.

Un momento di esperienza all’interno di una RSA per capire la condizione dell’essere umano che rappresenta la finitezza e il senso di mortalità che abbiamo tutti noi. Il nostro dipendere sempre e comunque gli uni dagli altri. In ogni istante e nei due sensi, perché non solo il paziente dipende dall’infermiere ma anche il contrario, anche nei linguaggi e negli atteggiamenti più semplici.

Questa storia ci viene raccontata da Silvestro e Riccardo, Infermieri militari in prima linea nelle Strutture Ospedaliere e nelle RSA e ha per protagonista il signor Bartolomeo, un paziente il cui repentino trasferimento in RSA durante la pandemia di Covid-19 ha fatto scaturire sentimenti di solitudine e di sconforto. I due professionisti, al fine di affrontare lo stato d’animo dell’anziano paziente, con atteggiamento empatico, dedicano il tempo necessario alla relazione per porsi nella migliore condizione di ascolto e utilizzano un approccio biografico.

Le considerazioni del signor Bartolomeo sono la rara testimonianza di una persona che ha vissuto in prima persona le due più gravi emergenze dell’ultimo secolo: la seconda guerra mondiale e la pandemia da coronavirus. Il paziente, giovane staffetta partigiana durante la Resistenza, si preoccupa che i sacrifici fatti per creare una società migliore possano non essere serviti nel momento in cui gli si ripresenta un nuovo dramma diverso nei modi, ma simile per sofferenza e morte.

La condivisione della storia, sicuramente d’aiuto per l’assistito, finirà per rafforzare anche i due colleghi e, ne siamo sicuri, rafforzerà ognuno di noi.

STORIE DALL’RSA

Verazze, 18 maggio 2020

Bartolomeo, classe 1932

Oggi piange.

Gli chiediamo: “Che succede, signor Bartolomeo?”

Ci risponde con un’altra domanda “A cosa è servito?”

A cosa è servito cosa, Bartolomeo?”

“Ad aver combattuto tra queste montagne, aver fatto il partigiano…

Facevo la staffetta, correvo disarmato perché se ti beccavano con un’arma ti mettevano subito al muro.

Dovevi stare attento ai fascisti, alle S.S., alla Wermacht, ai Francesi, ai Carabinieri.

Avevamo lo Smith, che gli inglesi ci lanciavano [beni paracadutati, n.d.r.], dormivamo nei buchi scavati nel terreno, cercavamo di dormire a volte per non pensare alla fame. Ci nascondevamo nei rifugi scolpiti nel tufo, bisognava costruirli bene, profondi, e con una curva prima della camera di stazionamento per smorzare l’onda d’urto della batteria da 149 mm. Ma a cosa è servito tutto questo? A essere lontano da mia moglie Domenica già da tre mesi…Lei è in un’altra RSA, a Cogoleto…

Forse merito tutto questo, forse ho ucciso anche io, non lo so, non ne sono sicuro; io vedevo la fiamma e sparavo verso la fiamma ma non ho mai visto morire dove sparavo, la maggior parte delle volte correvo senza armi, a quindici anni ero magro e veloce e oggi sono qui.

Varazze, tutti i palazzi che sono lì giù, li abbiamo costruiti noi, ho fatto il carpentiere capo, ma a cosa è servito combattere, lavorare?”

Ad un tratto la sua sensibilità mi sorprende; mi dice: “Lo vedi quello lì? – indicando la  foto sbiadita appesa sul muro che ritrae il suo pastore maremmano nero, morto due anni fa- non l’ho mai sentito abbaiare…io parlavo con lui e lui parlava con me. Era il più debole di otto cuccioli, per questo l’ho preso con me. E’ morto a quattordici anni”

E di nuovo le lacrime rubano il tempo ai racconti. “A cosa è servito?” Ripete Bartolomeo.

Faccio un tentativo, provo ad asciugare quegli occhi con le parole: “Signor Bartolomeo, è servito a tanto! E’ servito a tutti. Perché se non avesse corso tra queste montagne, io e Riccardo, Infermieri militari, militari che allora ti sparavano addossa, non saremmo qui ed in tante altre RSA d’Italia a prenderci cura di voi, ad ascoltare le vostre storie…”.

E allora, dalla sua mimica celata dalla mascherina chirurgica traspare un sorriso che asciuga i suoi occhi e bagna i nostri.

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