Leggendo l’articolo del Dr. Santarelli, in merito al complesso intervento chirurgico eseguito nei giorni scorsi (trapianto di faccia) mi sono sentita assolutamente solidale e comprensiva nei suoi confronti e di tutti quelli che si trovano nella stessa situazione nel nostro contesto sanitario, che conosco molto bene
Nello specifico quello della sala operatoria. Tuttavia vorrei sapere a chi si riferisce, nella sua disquisizione, parlando di “assistenti”. Mi preme sottolineare, perché a quanto pare non è ovvio come si possa pensare, che sui tavoli operatori, in tutto il mondo ed in tutte le equipe operatorie, ci sono professionisti con una identità ben chiara e definita, titolati e con un bagaglio di esperienza non indifferente.
Professionisti medici, professionisti Infermieri e professionisti sanitari tecnici. Mi aggancio alla testimonianza del chirurgo che risulta rispettabile e condivisibile, nonché drammatica e reale. Tuttavia in questa situazione, anche peggiore, si trovano migliaia di professionisti sanitari. Figure misconosciute e non riconosciute nemmeno da chi condivide la vita professionale con gli stessi, che qui vengono addirittura definiti genericamente “assistenti”.
Questo è assolutamente svilente e demotivante. Alla luce della situazione attuale i professionisti che hanno scelto di specializzarsi nel contesto della sala operatoria, come strumentisti ma anche Infermieri di anestesia o altre professioni sanitarie come i tecnici della perfusione, vivono in una realtà fatta di screditamento continuo. Stipendi ridicoli, indennità inesistenti, nessuna valorizzazione professionale, competenze specialistiche assolutamente “inutili” e non valutate, percorsi formativi seguiti solo per scelta personale dei quali però, a onor del vero, usufruiscono le strutture presso cui si presta la propria opera.
Alla luce di queste considerazioni mi chiedo quale debba essere la motivazione utile a spingere un professionista a scegliere questa strada, oltre alla propria inclinazione, attitudine, interesse per il settore specifico.
Parlo da strumentista con un’esperienza ventennale e che ha davvero cercato, e cerca tuttora insistentemente ed in direzione ostinata e contraria, di trovare ogni giorno uno stimolo nuovo, una crescita intellettuale, una spinta dal basso verso la valorizzazione professionale. Ultimamente mi sto chiedendo, seriamente e sempre più spesso, anche attraverso il confronto con tanti altri colleghi specialisti di tutta Italia, se ne sia valsa e ne valga ancora la pena.
Chiedo gentilmente l’intervento di “qualcuno” che mi possa rispondere argomentando, ma vi conviene fornire motivazioni valide che possano essere utili a convincermi, perché vi assicuro che è molto molto dura!
Anna Di Martino
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