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Il consenso al trattamento sanitario in ambito psichiatrico

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Il consenso al trattamento sanitario in ambito psichiatrico
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Approfondiamo l’argomento attraverso un contributo di Carmelo Russo Tiesi, infermiere con esperienza quinquennale nell’ambito della salute mentale, dapprima presso l’S.P.D.C. dell’Azienda sanitaria dell’Alto Adige e adesso presso l’S.P.D.C dell’ospedale Dei Bianchi di Corleone (ASP Palermo).

Il paziente psichiatrico è visto spesso come un soggetto incapace, da porre sotto tutela. La validità del suo consenso al trattamento rappresenta un problema delicato della terapia psichiatrica. Etica e leggi vietano, anche in ambito giudiziario, l’imposizione di atti sanitari. I trattamenti rivolti alla persona che necessita di cure devono mirare al benessere del paziente, rispettando il consenso del soggetto debitamente informato riguardo agli atti concordati. La validità del consenso può essere condizionata dallo stato psicopatologico del paziente e da alcuni disturbi che più facilmente compromettono la libertà decisionale, quali alterazioni della coscienza, schizofrenia, disturbi psicotici, disturbi organici e demenze. [1]

La complessa dottrina del consenso informato in medicina è stata analizzata nella duplice prospettiva giuridica e deontologica, focalizzando, l’attenzione sui vincoli di applicabilità in ambito psichiatrico. La contestualizzazione della gestione del “consenso informato” e nel concreto dell’attività psichiatrica nei DSM (Dipartimento di Salute mentale) è stata impegnativa perché ha richiesto il confronto e una sintesi tra la visione giuridica e la visione clinico assistenziale. I clinici, in particolare, hanno sottolineato che le malattie psichiatriche rendono difficile una completa informazione e un consapevole consenso da parte del paziente, soprattutto le patologie che presentano alterazioni dello stato di coscienza, compromissione dell’insight, gravi disturbi cognitivi e forme depressive.

Al cittadino che entra in contatto con le strutture sanitarie per diagnosi, cure, prestazioni mediche e operazioni amministrative deve essere garantita la più assoluta riservatezza e il più ampio rispetto dei suoi diritti fondamentali e della sua dignità.

Tutto ciò viene regolamentato dal D.lgs. 196/2003, in quanto i dati personali in grado di rivelare lo stato di salute delle persone sono di particolare delicatezza, per questo definiti “dati sensibili”, e non possono essere diffusi. A essi il codice sulla protezione dei dati personali attribuisce una tutela rafforzata e stabilisce le regole per il loro trattamento in ambito sanitario.

Il 25 maggio 2016 entra in vigore il regolamento generale europeo sulla protezione dei dati, ufficialmente Regolamento (UE) n. 2016/679, meglio noto con la sigla GDPR. Con questo regolamento, la Commissione europea si propone come obiettivi quello di rafforzare la protezione dei dati personali di cittadini dell’Unione Europea e dei residenti nell’Unione Europea, sia all’interno che all’esterno dei confini dell’Unione Europea, restituendo ai cittadini il controllo dei propri dati personali, semplificando il contesto normativo che riguarda gli affari internazionali, unificando e rendendo omogenea la normativa privacy dentro l’Ue. Il testo affronta anche il tema dell’esportazione di dati personali al dì fuori dell’Ue e obbliga tutti i titolari del trattamento dei dati (anche con sede legale fuori dall’Unione Europea) che trattano dati di residenti nell’Unione europea a osservare e adempiere agli obblighi previsti.

Negli anni si è cercato di sviluppare un’idea diversa del consenso informato in ambito psichiatrico per poterlo poi diffondere, successivamente, a tutti i collaboratori.

Il paziente che presenta una patologia psichiatrica, deve assolutamente posizionarsi al centro dell’assistenza, così come tutti gli altri utenti. Di conseguenza è necessario riconoscere l’acquisizione del consenso ai trattamenti sanitari in ambito psichiatrico non come un semplice assenso dato in una rapida forma scritta, ma soprattutto come inizio di un percorso terapeutico fondato sulla relazione tra Infermiere e utente.

Per prendere in carico un paziente psichiatrico, è necessario che i professionisti siano ben informati e sappiano tutti i dettagli delle varie modalità per ottenere un consenso informato attuale e veritiero. Tutto ciò deve avvenire alla luce del sole e giuridicamente corretto per evitare in futuro che ci siano delle contestazioni da parte dell’utente. È indispensabile che l’operatore sanitario riesca ad avere un buon feed-back, in quanto sta alla base di un vero e proprio percorso di cura che inizia in reparto e continua sul territorio.

Si può affermare che l’essenza etica del consenso informato consista soprattutto nell’occasione che esso rappresenta di restituire al paziente la responsabilità di decidere sulla propria qualità della vita, ribaltando così lo “storico” rapporto fra chi dispensa cure e chi le riceve, basato su una logica di beneficio. Va da sé che se si riduce la questione del consenso informato all’ottenimento di una firma in calce a un foglio, la natura innovativa ed evolutiva posta dal consenso informato non viene assolutamente rispettata. È fondamentale far cadere la questione del consenso informato sull’attenzione alle possibilità di una corretta ricezione da parte del paziente e la valutazione che lo stesso sia in grado, cognitivamente e soprattutto emotivamente, di compiere la scelta davvero per lui più adeguata.

In altre parole, il problema posto dal consenso informato è relativo alla qualità della relazione fra operatore  e paziente, dove all’infermiere spetta l’obbligo, etico innanzitutto, di riconoscere la contrattualità e la possibilità decisionale di chi gli sta di fronte.

È proprio in questa accezione del riconoscimento dell’altro, del paziente, come soggetto che ha pari dignità e che è in grado di esercitare il suo diritto di rifiuto delle cure, che il consenso informato diventa materia particolarmente accattivante in psichiatria e, parallelamente, materia di cui qualsiasi operatore che abbia contatti con il paziente non solo è bene, ma è opportuno, che si occupi.

Spesso, purtroppo, per quanto riguarda il paziente psichiatrico, la libertà sostanziale di decidere del proprio futuro è compromessa dalla patologia stessa e quindi viene meno.

Qui entra in gioco il lavoro dell’equipe, essenziale affinché l’utente riesca, attraverso terapie e colloqui, a “sganciarsi” da quella patologia che fino adesso non lo aveva mai reso libero. Riportiamo una citazione che spesso accompagna gli infermieri che prestano il loro servizio presso l’ambito psichiatrico: “La crucialità dell’intervento consiste nel restituire il paziente a se stesso e a una migliore qualità di vita. Occorre cioè offrire opportunità e lavorare con il paziente evitando che il suo passato diventi pre-giudiziale e cominciando, contestualmente, a predisporre a immaginare un futuro”. [2]

In psichiatria assume quindi rilevanza tutto ciò che riguarda l’etica e il valore pedagogico. Le terapie farmacologiche sono indispensabili, soprattutto nel primo periodo in acuzia, ma se i comportamenti da parte degli operatori sanitari restano seri e di apertura mentale il consenso informato sarà il risultato di un vero rapporto di fiducia tra infermiere e utente. Il paziente deve sempre immaginare che tutto sia raggiungibile e fattibile, mediante procedure di intervento e modelli di rassicurazione da parte dell’equipe.

Il modo in cui viene data l’informazione costituisce la base del rapporto infermiere-paziente: in psichiatria si deve sempre mettere al centro di tutto l’individuo, libero dagli stigmi assegnati in altri ambiti. Finalmente, anche in ambito psichiatrico, il consenso informato sarà ben definito e costituito dalle caratteristiche essenziali come la libertà, la spontaneità, la chiarezza e soprattutto che sia attuale.


[1] Minerva Psichiatrica 2005 June; 46 (2): 133-44
[2] Rabboni M. (a cura di), Etica della riabilitazione psichiatrica: tensioni e prospettive nelle strategie di intervento, Milano, Franco Angeli, 1997.

Carmelo Russo Tiesi

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