Barbara Mangiacavalli (Presidente FNC Ipasvi): “C’è necessità di un infermiere esperto clinico con competenze avanzate grazie anche all’evoluzione della formazione.”
Presentato all’Agenas il volume “il cittadino non autosufficiente e l’ospedale”, promosso dall’IRCCS-INRCA per il Network nazionale per l’invecchiamento e curato da Enrico Brizioli, Amministratore Delegato dell’Istituto S. Stefano (gruppo KOS), e Marco Trabucchi, professore ordinario nel dipartimento di Medicina dei Sistemi dell’Università di Roma – Tor Vergata, edito da Maggioli Editori.
L’analisi del rapporto tra ospedale e paziente anziano non autosufficiente, approfondita nelle sue criticità, offrendo e suggerendo ai professionisti impegnati nei vari ambiti di assistenza un supporto prezioso per migliorarla. Il volume nasce grazie alla collaborazione tra il Network Non Autosufficienza (NNA) e l’Istituto di Ricovero e Cura a Carattere scientifico (INRCA) di Ancona, e-book scaricabile gratuitamente cliccando sul seguente link www.maggioli.it/rna/brizioli-trabucchi/index.htm.
La presidente della Federazione nazionale collegi Ipasvi Barbara Mangiacavalli commenta: “Con gli infermieri gestione ottimale delle cure. L’analisi condotta nel volume conferma ancora una volta il ruolo che gli infermieri hanno nel nuovo modello di assistenza legato all’evoluzione demografica e delle condizioni di salute della popolazione. E ancora di più conferma la necessità di un infermiere esperto clinico con competenze avanzate (geriatriche in questo caso) da acquisire anche con una evoluzione della formazione. Ma soprattutto chiarisce la non invasione di campo rispetto al ruolo del medico che resta ben definito. Nessun contrasto, nessun rischio per i pazienti. Anzi, una condizione che in particolare negli ospedali gestiti per intensità di cure/complessità assistenziale, ma anche sul territorio, integra le varie professionalità secondo un modello che è quello di cui gli infermieri affermano ormai da tempo la necessità, sia per migliorare la compliance dei pazienti, sia per una gestione ottimale delle strutture – e il libro lo sottolinea in modo chiaro – che dell’organizzazione e anche delle risorse del Servizio sanitario nazionale. Tutto ciò soprattutto nel momento in cui i pazienti anziani, non autosufficienti e comunque fragili sono destinati ad aumentare”.
Secondo i dati forniti dall’analisi, in Italia, nonostante i tentativi di contenimento e redistribuzione della spesa, il settore ospedaliero continua ad assorbire la voce più consistente di spesa del servizio sanitario nazionale, circa il 47% dell’intera spesa sanitaria italiana.
Circa il 40% dei degenti ricoverati in ospedale sono anziani e un terzo di loro perde una o più funzioni della vita quotidiana durante la degenza.
Parte del declino non è correlato alla malattia acuta, ma è un effetto avverso delle terapie e delle pratiche ospedaliere, disegnate per le persone giovani. Gli interventi per migliorare il rapporto fra ambiente ospedaliero e anziano fragile convergono nel ritenere che agire su di un solo aspetto è insufficiente, mentre sono necessari interventi a più livelli.
Gli outcome migliori dipendono da alcuni fattori principali, tra i quali un ambiente predisposto, la cura centrata sulla persona, la valutazione medica frequente, la riabilitazione precoce, un piano di dimissione.
Per evitare ricoveri impropri che andrebbero a impattare negativamente sulla salute degli anziani, sono state attivate presso la SC Geriatria del PO Treviso Azienda ULSS n. 9 Regione Veneto le OBI, osservazione breve intensiva, con l’obiettivo di ottenere rapidi percorsi diagnostici e terapeutici, con risultati apprezzabili per il paziente e con il vantaggio di un risparmio economico rispetto ad un pari risultato ottenuto mediante il ricovero. Sono così attuabili una progressiva riduzione del numero totale dei ricoveri, la diminuzione dei ricoveri impropri o non necessari, una dimissione ponderata e sicura, offrendo qualità e comfort ai pazienti in fase di accertamento o di trattamento e riducendo gli effetti avversi di una ospedalizzazione prolungata. Stante il fatto che la presentazione clinica dei pazienti anziani in PS è frequentemente atipica e, spesso, le diagnosi hanno bisogno di tempo per divenire evidenti, le strutture di OBI possono rappresentare un modello organizzativo funzionale per i pazienti geriatrici. Sono costituite da posti letto ad elevato turnover, funzionanti come centri di osservazione di breve durata dove possono essere intrapresi indagini cliniche e trattamenti urgenti volti ad evitare inutili, prolungati, ricoveri ospedalieri, ma anche dimissioni inappropriate o eccessivamente precoci.
L’ ”ospedale amico dell’anziano” deve tenere conto dell’urgenza e della complessità della patologia e il rapporto pazienti/infermieri deve essere dimensionato considerando questi fattori e le caratteristiche del paziente (in particolare quelli affetti da difficoltà cognitive o altre fragilità, che richiedono maggiore attenzione anche nelle normali pratiche assistenziali). Un ospedale per intensità di cura (Oic), che prevede un ruolo di importanza centrale per la professione infermieristica: i singoli pazienti sono assegnati a un infermiere referente sulla base della loro competenza clinica e/o di pianificazione.
La cura deve essere centrata sul paziente e basata sulla Valutazione Multidimensionale (VMD), con valutazioni quotidiane dello stato fisico, cognitivo e psicosociale effettuate da infermieri e incontri quotidiani del team multidisciplinare; attivazione di procedure per migliorare l’autosufficienza nell’accudirsi, la continenza, la nutrizione, la motilità, il sonno, la cura della cute, il tono dell’umore e lo stato cognitivo.
L’infermiere quindi è una delle figure centrali dell’assistenza al cittadino non autosufficiente, sia in ambito ospedaliero (attraverso l’organizzazione per intensità di cura/assistenza) che territoriale.
Le unità di Cura Sub-Intensivo con monitoraggio intensivo dei parametri vitali, prevedono un’alta intensità di assistenza infermieristica:
- frequente richiesta di determinazione dei parametri clinici;
- toilette polmonare;
- gestione della ventilazione non invasiva;
- frequente necessità di posizionamento e mobilizzazione, ecc. ecc.
Ovviamente l’intensità assistenziale richiederà per queste unità operative un numero di infermieri che vanno molto al di là delle possibilità di quelli che normalmente vengono assegnati ad un’unità medica convenzionale e questo rappresenta una grossa criticità.
La continuità assistenziale deve essere assicurata in ambito extra ospedaliero. Sul territorio vengono suggeriti alcuni aspetti importanti come ad esempio la costituzione di una “anagrafe” dei fragili sui quali concentrare gli interventi proattivi domiciliari di “prevenzione”, gestendo la continuità sia in “entrata” che in “uscita” verso l’ospedale. Ad esempio, (pronto riconoscimento e trattamento della fase acuta, supporto domiciliare clinico/diagnostico/infermieristico) della perdita funzionale e sui quali assicurare il supporto nella fase “post-acuta”.
Giuseppe Papagni
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