Commento a sentenza del Tar Lazio sez. I quater n. 01416/2018.
Con il ricorso in oggetto, il ricorrente assistente capo della Polizia di Stato in forza presso la Polstrada di Viterbo, sezione distaccata di Tarquinia, ha chiesto l’annullamento del Decreto n. 7/85 del 14 novembre 2007 con il quale il Dirigente del Compartimento della Polizia di Stradale del Lazio, aveva disposto la revoca dei benefici di cui all’art. 33 comma 3, L. 104/92.
L’amministrazione si è costituita in giudizio per resistere con controricorso, con ordinanza n. 1622 del 20 marzo 2008 la sez. TAR Lazio ha accolto l’istanza cautelare proposta dal ricorrente, il quale, ha fatto presente di avere ancora interesse alla decisione del ricorso e, quindi, all’annullamento dell’atto impugnato al fine di scongiurare la possibilità che la parte resistente potesse rivalersi per i giorni di permesso già goduti dal ricorrente in forza del provvedimento di sospensione a far data dal mese di aprile 2008 fino alla data di ottobre 2009, data del decesso del padre.
Il ricorrente già titolare dei benefici di cui all’art. 33, comma 3 della legge 104/92 per prestare assistenza al genitore disabile, ha presentato domanda di rinnovo in data 18 gennaio 2007; in tale occasione l’amm.ne a seguito dell’istruttoria, avendo accertato l’esistenza di altri familiari conviventi con il disabile, in grado quindi di occuparsi del proprio genitore, ha quindi deciso, visto il venir meno del requisito dell’esclusività, di non concedere il rinnovo ed ha revocato il beneficio a far data dal provvedimento, avvenuta in data 14 dicembre 2007.
Il ricorrente ha subito impugnato il suddetto atto censurandolo in via principale per violazione dell’art. 33 L. 104/92, in quanto il requisito dell’esclusività nella cui mancanza risiede l’unico motivo di revoca non sarebbe previsto dalla legge.
In subordine ha censurato l’atto perché fondato sul falso presupposto della mancanza dell’esclusività, non essendovi in realtà altri parenti in grado di prendersi cura del padre disabile, sia per difetto di motivazione in ordine alle ragioni per le quali si sia ritenuto di privare il disabile all’assistenza della quale già beneficiava.
Il TAR Lazio ha ritenuto il ricorso fondato e lo ha quindi accolto, deducendo quanto segue:
A tenore della norma di cui all’art. 33, comma 3, nel testo applicabile ratione temporis “…colui che assiste un persona con handicap in situazione di gravità, parente o affine entro il terzo grado, convivente, hanno diritto a tre giorni di permesso coperti da contribuzione figurativa, fruibili anche in maniera continuativa a condizioni che la persona con handicap in situazione di gravità non sia ricoverata a tempo piano”.
Come si evince dal tenore letterale della norma la legge non richiedeva il requisito dell’esclusività e, in giurisprudenza, si registravano orientamenti di segno contrario.
Invero, mentre da un lato si sosteneva che il requisito dell’esclusività dell’assistenza, benchè non contenuto nella lettera dell’art. 33, comma 5, legge 5 febbraio 1992 n. 104, è sicuramente desumibile dalla sua ratio, che non è quella di assegnare dei benefici ai soggetti che hanno un parente portatore di handicap, ma quella di garantire a quest’ultimo un’assistenza (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VI 6 luglio 2009; id. 4 agosto 2009, n. 4671) dall’altra si osservava che “il permesso che la legge 5 febbraio 1992 n. 104 ha come obiettivo primario la tutela delle persone handicappate, in base ala criterio teleologico, presupposto dell’esclusività dell’assistenza prestata al disabile, deve interpretarsi nel senso che il lavoratore richiedente i benefici, può anche non essere l’unico congiunto della persona disabile in grado di, teoricamente, prestare assistenza, ma deve essere l’unico congiunto che, di fatto, presta l’assistenza”(cfr. TAR Puglia Lecce, sez. III, 4 febbraio 2008, n. 348).
Quindi il requisito dell’esclusività non era in realtà precetto inserito nella norma, ma si desumeva da interpretazioni giurisprudenziali tutt’altro che univoche, tanto che, il legislatore con la legge 4 novembre 2010, n. 183, nel sostituire i commi 3 e 5 dell’art. 33 cit. ha chiarito la non necessità dei requisiti di continuità ed esclusività nell’assistenza, quali presupposti dei benefici in parola.
Osserva il Collegio che, sebbene la novella legislativa sia intervenuta successivamente all’adozione del provvedimento impugnato, tuttavia, il requisito dell’esclusività non era univocamente interpretato ed inteso quale requisito indefettibile, bensì da valutare in correlazione ad ulteriori elementi.
La giurisprudenza più recente poi, ha introdotto diverse misure di politica socio-assistenziale, consistenti in facilitazioni e incentivi ai congiunti che si fanno carico dell’assistenza di un disabile grave, in funzione della salvaguardia dei valori di solidarietà interpersonale ed intergenerazionale di rilievo costituzionale, precisando che, con la novella di cui alla legge 183/2010 è stata eliminata la previsione dei requisiti della continuità ed esclusività che in ragione della loro imprescindibilità, limitavano sensibilmente la concessione dei benefici in questione (TAR Puglia, Bari, sez. I, 5 ottobre 2017, n. 1006; TAR Lombardia, Milano, sez. III, 8 agosto 2017, n. 1751).
Pertanto costituisce elemento sufficiente per avere i benefici richiesti, che il lavoratore dipendente pubblico o privato assista a persona con disabilità grave, coniuge, parente o affine entro il terzo grado.
La nuova normativa è allineata al principio di solidarietà, art. 2 cost. secondo il quale, “la Repubblica richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale “consentendo che questo trovi margini più ampi per realizzarsi (cfr. CGA Sicilia sez. giurisd., 25 luglio 2017, n. 343).
Pur prendo atto che la nuova novella legislativa non ha configurato la posizione del richiedente in termini di diritto incondizionato, ma riconosce alla P.A. il potere di respingere legittimamente l’istanza ex lege n. 104/92, impone tuttavia a quest’ultima di effettuare una valutazione comparativa tra le esigenze organizzative e le condizioni familiari del dipendente; che nel caso di specie è del tutto assente nel provvedimento impugnato, tenuto conto che il disabile aveva espresso la precisa volontà di essere assistito dal figlio (attuale ricorrente) come da espressa dichiarazione in atti.
Il ricorrente ha anche dimostrato che la madre e moglie del disabile è portatrice di importanti deficit funzionali della capacità deambulatoria che le impedivano di prestare la necessaria assistenza e che l’altro figlio, fratello del ricorrente, dipendente di una ditta operante fuori dal comune di residenza, non era in grado di prestare assistenza al proprio padre a causa delle numerose e frequenti trasferte fuori provincia come certificato in atti. Per tali motivi, il ricorso va accolto e per l’effetto l’atto impugnato deve essere annullato.
Dott. Carlo Pisaniello
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