La mutazione dei geni Brca 1 e 2 è un problema che riguarda 150mila italiani. Se ne è parlato al XXI Congresso nazionale Aiom.
Sono 150mila gli italiani che presentano una mutazione dei geni Brca 1 e 2, ribattezzato “gene Jolie” (dal nome dell’attrice che ha reso noto di esserne affetta), secondo una stima basata sulla frequenza nella popolazione europea. Il test genetico per individuarla è fondamentale sia per i pazienti con alcuni tipi di tumore, per poter accedere a cure mirate e più efficaci, sia per i loro familiari, per prevenire l’insorgenza di neoplasie. Per questo gli oncologi chiedono che sia rimborsabile per entrambi. A puntare i riflettori sul tema è l’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), in occasione del XXI Congresso nazionale, tenutosi nei giorni scorsi a Roma.
La situazione nel Paese, affermano gli oncologi, è a macchia di leopardo: solo sette Regioni garantiscono infatti l’esenzione dal pagamento dell’intero percorso di cura. La mutazione dei due geni determina una predisposizione a sviluppare alcuni tipi di tumore (in particolare di mammella, ovaio, pancreas e prostata) con più frequenza rispetto alla popolazione generale. Il rischio di trasmissione dai genitori ai figli delle mutazioni Brca è del 50%. La maggior parte di queste persone non sa di essere portatore della mutazione e, quindi, del rischio oncologico correlato, perché i test genetici per individuarla non sono ancora abbastanza diffusi, soprattutto fra le persone sane. Per estendere a questi cittadini i programmi mirati di prevenzione è necessario che, in caso di individuazione dell’alterazione genetica, il test sia effettuato anche sui famigliari sani del paziente.
Il punto critico è proprio la mancata adozione in maniera uniforme sul territorio nazionale dei Protocolli di diagnosi, trattamento e assistenza per persone ad alto rischio eredo-familiare (PDTA AREF), oggi presenti solo in 8 Regioni (Emilia Romagna, Liguria, Lazio, Veneto, Campania, Toscana, Sicilia, Piemonte). Soltanto sette, rileva l’Aiom, hanno però deliberato anche l’esenzione dal pagamento del ticket per le prestazioni sanitarie previste dai protocolli di sorveglianza (Emilia Romagna, Lombardia, Liguria, Campania, Toscana, Sicilia e Piemonte).
Nel corso del congresso è stato lanciato anche un sos fake news, visto che due pazienti su tre cercano cure alternative sul web, individuandole in bufale come il ricorso al bicarbonato di sodio o alla “urinoterapia”. Per fortuna, solo una minoranza si rivolge poi a santoni e ciarlatani, con gravi rischi per la salute. La malattia può infatti evolvere sfavorevolmente a causa del mancato ricorso a terapie efficaci e approvate dagli enti regolatori.
Dagli oncologi dell’Aiom arriva dunque un messaggio forte e chiaro: attenzione alla pericolosità di alcune scelte; non esistono terapie oncologiche miracolose; è invece indispensabile seguire sempre e solo le indicazioni terapeutiche degli specialisti.
Fondazione Aiom ha pertanto aperto da un anno e mezzo un portale apposito per combattere le fake news (Tumoremaeveroche.it). «Oltre il 5% dell’intera popolazione italiana è stata colpita da una forma di cancro – sottolinea Fabrizio Nicolis, presidente di Fondazione Aiom – e i numeri sono in crescita. Il web, per i pazienti, è un ‘luogo’ dove ancora troppo spesso si trovano notizie assolutamente false e prive di ogni fondamento scientifico». Aggiunge Massimo Di Maio, coordinatore del comitato scientifico del progetto “Tumore, ma è vero che?”: «Sono oltre 400 le bufale che si possono leggere online e che riguardano i tumori. Molte di queste riguardano terapie farlocche, che in realtà sono dei rimedi inutili, potenzialmente tossici».
Redazione Nurse Times
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