Il cetaceo sarebbe morto per l’incapacità di digerire, causata dalla gran quantità di rifiuti ingerita insieme al cibo. Lo Sportello dei Diritti lancia l’ennesimo allarme sull’inquinamento del mare.
Una “grande quantità di teli di plastica blu” e “masse di corda”, insieme ad altri “detriti” marini sarebbero la causa della morte di un capodoglio, trovato all’inizio della scorsa settimana sulla spiaggia di Hell’s Mouth (Abersoch, Galles). Nessun segno di collisione con imbarcazioni: a uccidere il cetaceo, lungo sette metri e pesante sette tonnellate, sarebbe stata proprio la plastica ingerita, che avrebbe ostruito il canale digerente.
Il capodoglio è una specie a rischio estinzione, la cui sopravvivenza è minacciata dal gravissimo inquinamento del mare. Nel caso specifico, l’esame post mortem ha rivelato che due terzi dello stomaco erano occupati da plastica, e solo un terzo da becchi di calamaro, il cibo preferito da questi animali. Gli esperti sostengono che quel materiale abbia influito sulla capacità dell’animale di digerire il cibo, contribuendo al suo stato di malnutrizione.
“È l’ennesima, terribile cartolina – evidenzia Giovanni D’Agata, presidente dello Sportello dei Diritti – che arriva da un oceano sempre più devastato dall’inquinamento da plastica, e dimostra la complicità dell’enorme materiale ingerito nel decesso del cetaceo. I teli di plastica blu e masse di corda, insieme ad altri detriti marini, sono tanti. È chiaro che sono stati ingeriti negli anni, ma è importante dire che questi capodogli mangiano in profondità. La riflessione che va fatta, quindi, è che il nostro meraviglioso mare blu, così fascinoso in superficie, nasconde sul suo fondo un tappeto di rifiuti del quale non abbiamo reale contezza. Le navi di passaggio buttano di tutto e, secondo gli esperti, la tristissima morte di questo capodoglio conferma che siamo arrivati a una situazione estrema. Cetacei, ma non solo. Sono sempre di più le tartarughe imprigionate dalla plastica. Greta Thunberg ha ragione: la vera emergenza non è il clima; siamo noi”.
Redazione Nurse Times
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