I numeri non lasciano scampo: il tabacco in Italia è la principale causa di morte, causa di quasi 83mila decessi l’anno, più di un quarto dei quali riguarda persone tra i 35 e i 65 anni di età
E nel mondo le sigarette provocano più decessi di alcool, Aids, droghe, incidenti stradali, omicidi e suicidi messi insieme.
Per questo l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha più volte sottolineato che l’”epidemia del tabacco è una delle più grandi sfide di sanità pubblica della storia”.
Il fumo è responsabile non solo di diversi tipi di cancro, ma anche di gravi malattie cardiovascolari, polmonari e di un’altra lunga lista di patologie che vanno dal diabete di tipo 2 alla cataratta, dall’artrite reumatoide alla degenerazione maculare.
Si tratta in gran parte di disturbi che peggiorano con l’età e che contribuiscono in vari modi al dilagare di patologie croniche legate al tabacco e all’invecchiamento.
Il “tabagista sano” non esiste e fumare andrebbe considerato al pari di una vera e propria patologia.
E’ questa l’ipotesi avanzata in un editoriale – a cura del Corriere della Sera del 30 giugno 2016 – dall’italiano Leonardo Fabbri, pneumologo e professore di Medicina Interna all’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, sulla prestigiosa rivista scientifica New England Journal of Medicine, che sintetizza così le sue conclusioni:
“I fumatori che pensano di godere di buona salute purtroppo dovranno ricredersi, in quanto (salvo rare eccezioni) spesso hanno alterazioni biochimiche, cellulari o funzionali anche in assenza di sintomi.
O viceversa, mostrano sintomi quali tosse, catarro e mancanza di respiro, ritenuti innocenti o normali per un fumatore, soprattutto se anziano, ma in realtà sono segno di una malattia respiratoria, cardiovascolare o metabolica in atto.
O, peggio, di un tumore. Del resto, statistiche alla mano, chi fuma muore in media 10 anni prima di chi non fuma… “.
Eppure moltissimi tabagisti “si sentono bene”, fisicamente in forma. Com’è possibile?
“Innanzitutto – risponde Fabbri – esistono i cosiddetti soggetti resistenti al rischio, che comunque sopravvivono senza conseguenze alle esposizioni ambientali più intense senza apparenti conseguenze.
Inoltre le conseguenze del fumo, e in particolare i sintomi, si sviluppano dopo molti anni di esposizione, quindi l’intervallo libero è molto variabile. Tuttavia va tenuto presente che le maggiori cause di morte dei fumatori (infarto, ictus e tumore, in particolare polmonare) quasi sempre si manifestano a ciel sereno, non preceduti da manifestazioni cliniche o funzionali”.
La broncopneumopatia cronico ostruttiva (Bpco) è la patologia più frequente tra i fumatori. Cos’altro rischiano i fumatori “senza accorgersene”?
“Questi due importanti studi, condotti su migliaia di soggetti fumatori, indipendentemente dalla presenza o meno di malattia, mostrano chiaramente che la maggioranza dei fumatori presenta sintomi che costituiscono già segno di malattia respiratoria in atto: soprattutto mancanza di respiro, ma anche tosse, catarro o senso di costrizione toracica.
Ed infatti alla TAC si associano segni di ispessimento bronchiale, oltre ai frequenti episodi acuti che costringono i pazienti a prendere antibiotici o cortisonici, se non addirittura andare in ospedale. Inoltre, le due analisi provano anche che i fumatori sviluppano più spesso e prima malattie cardiovascolari, quali infarto, vasculopatie periferiche, ictus, in alcuni casi anche cancro (soprattutto, ma non solo, polmonare) che costituiscono le più frequenti cause di morte del fumatore.
In realtà noi vediamo oggi l’aumento di BPCO in quanto molti pazienti con infarto o ictus sopravvivono agli eventi acuti e quindi ne vediamo le sottostanti malattie croniche. I sintomi respiratori, in particolare la dispnea, possono essere sì segno di malattia polmonare, ma anche di malattia cardiaca, vascolare o cerebrale”.
In pratica quindi è in pericolo anche chi non ha sintomi. Cosa dovrebbero fare quindi i fumatori?
“Prima di tutto smettere di fumare. Il rischio di malattia cala rapidamente negli anni successivi all’interruzione del fumo così come, smettendo, si ripristina la risposta ai farmaci necessari per curare malattie croniche già sviluppate (scompenso, ischemia, BPCO), che si rivelano invece inutili nei pazienti tabagisti, in quanto vengono disattivati dal fumo.
Per capire il pericolo a cui si espongono i tabagisti dovrebbero ricordare alcuni numeri, facili da comprendere e lampanti: rispetto ai non fumatori, il loro rischio di cancro alla laringe è 100 volte superiore; quello di tumore ai polmoni o BPCO è 25 volte più elevato; le probabilità di sviluppare aneurisma della volta sono 10 volte più alte; mentre per infarto, ictus o ipertensione ci limitiamo al doppio o al triplo delle possibilità”.
Quali sono i segnali sospetti da tenere presenti? Quali i test che i fumatori (anche giovani) dovrebbero fare?
“Il più semplice e frequente è il fiatone a salire le scale o a nuotare in apnea in piscina …esempi facili, che possono far capire quanto la funzionalità respiratoria (e cardiocircolatoria) possano essere compromesse. Altri campanelli da non trascurare sono la tosse stizzosa, cronica, la mancanza di energia e i disordini del sonno, con conseguente sonnolenza durante il giorno”.
Infine, un pericolo di cui si parla poco: quanti fumatori finiscono in ossigenoterapia?
“I ricercatori statunitensi hanno stimato che negli Usa ci sono 35 milioni di fumatori con più di 55 anni con patologie polmonari provocate dal fumo non diagnosticate e che potrebbero peggiorare nei prossimi anni, fino a dover ricorrere alla riabilitazione respiratoria per scongiurare patologie ancora più invalidanti.
Trasferiti nella nostra realtà, secondo i dati sviluppati oltreoceano, a rischio sono circa 9 milioni di italiani. Per fortuna solo una minoranza finisce in ossigenoterapia continua, anche se la stima conservativa attuale è che ci siano in Italia circa 80mila pazienti (un città di medie dimensioni) che devono vivere continuamente attaccati al concentratore o alla bombola portatile”.
Scupola Giovanni Maria
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