Con la tanto discussa attribuzione di nuove competenze sanitarie ai farmacisti, le associazioni di categoria ora sono pronte a scendere in piazza per battere cassa. L’emergenza Covid-19 ha spinto il Governo a concedere a molti professionisti di poter eseguire tamponi e vaccinazioni, rendendo le farmacie italiane attrezzate per affiancare gli hub vaccinali nella somministrazione dei preparati anti-Covid.
In molte regioni è già possibile sottoporsi all’inoculazione, anche grazie alla disponibilità dei farmacisti, i quali sembrano essere pronti a gestire in piena autonomia anche la somministrazione di una potenziale terza dose sull’intero territorio nazionale.
Per i prossimi mesi, infatti, i farmacisti, chiamati in causa dal Governo, come peraltro anche i medici di base, dovrebbero essere disponibili a espletare questo servizio sull’intero territorio italiano. Anche in vista della possibile terza dose autunnale.
Le regole saranno ben precise
La somministrazione potrà avvenire durante l’orario di lavoro ma non nei locali della farmacia, quanto in luoghi attigui, ad esempio tende, oppure all’interno degli esercizi ma fuori dall’orario di lavoro. I farmacisti vaccinatori possono svolgere questa mansione dopo un corso ad hoc organizzato dall’Istituto superiore di sanità, che contempla anche l’esecuzione dell’anamnesi del paziente e l’intervento tempestivo, come la somministrazione di adrenalina, in caso di reazioni avverse immediate e shock prima di chiamare i soccorsi.
Il Movimento italiano farmacisti collaboratori (Mifc), che già da tempo ha sollevato la questione, ha organizzato nei giorni scorsi, in collaborazione con le organizzazioni sindacali (Cgil-Filcams, Cisl-Fisascat e Uil-Ucs), tre sit-in a Roma, Milano e Firenze davanti a sedi istituzionali, Montecitorio e Prefetture, per sensibilizzare sul tema. I sindacati hanno chiesto il coinvolgimento di Massimiliano Fedriga, presidente della Conferenza Stato-Regioni.
«Accanto alla molteplicità di compiti che i farmacisti collaboratori già garantiscono e vanno ben oltre la semplice dispensazione di farmaci – sottolinea il presidente del Mifc, Michele Scopelliti – ora abbiamo dato la nostra disponibilità anche all’esecuzione dei vaccini ma chiediamo di essere riconosciuti dallo Stato come professionisti sanitari con un contratto specifico che sostituisca quello attuale che ci inquadra nel settore del commercio. Abbiamo ottenuto solidarietà dal sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri, il quale ci ha tuttavia consigliato di rivolgersi al ministero di competenza, ossia quello del Lavoro».
Il movimento ha dunque inviato, il 27 maggio scorso, una lettera al ministro Andrea Orlando, nella quale i farmacisti collaboratori ricordano di essere «elemento fondamentale dell’assistenza territoriale» e «anello di giunzione con le Asl», la cui importanza si è riscontrata in particolar modo nel drammatico scenario dell’emergenza Covid e si conferma con impegni extra nel corso della lunga campagna di profilassi.
Il 19 marzo 2021 i dirigenti del movimento, che raggruppa circa 4.200 iscritti, hanno incontrato la presidente della Commissione affari sociali Marialucia Lorefice e il deputato Filippo Perconti ed è in programma un’interrogazione parlamentare per discutere della situazione.
I farmacisti collaboratori rivendicano non solo il loro riconoscimento del ruolo di professionisti sanitari e non di operatori commerciali, ma anche un adeguamento contributivo che vada oltre gli attuali 8 euro netti orari percepiti, tenga conto di indennità di rischio e tempo impiegato in necessità formative e sia costituito da «una retribuzione mista nella quale una parte, il 70 per cento, sia assicurata dal titolare della farmacia, e il restante 30% dallo Stato».
Dott. Simone Gussoni
Fonte: Il Sole 24 ore
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