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Essere infermieri nell’era post-pandemica: ampliamento degli ambiti di intervento e di attività

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Sardegna, compensi in ritardo: gli infermieri minacciano di fermare l’elisoccorso
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Punti di forza e criticità

Essere infermieri oggi, nella manifestazione delle diverse funzioni e competenze professionali, significa sostenere un sistema salute sì, universale, solidaristico, unitario e a governance pubblica, ma “provato” nel suo profondo da due anni di pandemia Sars-Covid19 che ci ha visti – unitamente a tutti gli altri operatori sanitari – agire in prima linea in contesti assistenziali trasformati, ai quali non eravamo preparati.

E così – dall’oggi al domani – abbiamo dovuto finalizzare nuove e consolidate competenze adattandole alla domanda di assistenza che giungeva dai cittadini, far fronte ad un cambiamento che ci ha messo a dura prova, intervenendo su più aspetti: le gravi carenze organiche di professionisti sanitari e materiali di approvvigionamento dei DPI (dispositivi di protezione individuale), applicando modelli organizzativi nuovi, e trasformando rapidamente strutture ospedaliere. Insomma, dall’epidemiologia al fine vita con biglietti di sola andata, lasciando lungo il percorso tante vite umane.

In ambito infermieristico – questa repentina trasformazione – ha posto le condizioni propedeutiche e irrinunciabili per un vero cambiamento, in particolare per quanto riguarda:

  1. La riorganizzazione dell’assistenza, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo (revisione degli organici), non solo ospedaliera, ma territoriale con l’introduzione dell’infermiere di famiglia e comunità;
  2. La definizione degli skills-mix;
  3. La definizione e misurazione degli out come (risultati-esiti).

Detto ciò, ritengo che i cambiamenti, e la conseguente l’evoluzione della nostra professione, non risiedano nel fare proprie competenze altrui, bensì nel riconoscimento e nella valorizzazione delle competenze assistenziali che già ci appartengono e che possono trovare piena attuazione in modelli organizzativo-assistenziali meno medico-centrici (mono professionali a gerarchia verticale), che fanno propri e valorizzano la presa in carico globale della persona fragile, affetta da patologie croniche con maggiori possibilità di garantire risposte appropriate ai bisogni attraverso percorsi pluri-professionali (modelli organizzativi orizzontali a matrice) di continuità delle cure e dell’assistenza che si dipanano tra l’ospedale e il territorio, con il passaggio da una medicina d’attesa a una medicina d’iniziativa possibile solo attraverso una ridefinizione dell’attuale organizzazione della medicina di base.

Per quanto riguarda gli out come è fondamentale, per noi infermieri, individuare indicatori di risultato attribuibili all’assistenza infermieristica che dimostrano ciò che facciamo, come, con quali risultati e a quali costi.

Misurare e valutare la sostenibilità, l’equità, l’appropriatezza, l’efficacia e l’efficienza del nostro lavoro serve agli stessi professionisti per dimostrare che gli infermieri fanno la differenza nel fornire assistenza sanitaria sicura e di elevata qualità, senza peraltro esser definiti “eroi”.

Visto il riconoscimento (mediatico, in particolare) tributato alla nostra professione, oggi dobbiamo lavorare perchè venga – al più presto – delineato un percorso per il riconoscimento dell’infungibilità delle specializzazioni infermieristiche, perché noi infermieri siamo in grado di esercitare a tutto tondo, e non c’è nulla nella nostra professione che non sappiamo fare, non possiamo o non vogliamo fare.

Lo dimostriamo questi due anni di pandemia, anche se lo abbiamo sempre dimostrato, ma dobbiamo anche essere messi in grado di spendere le nostre specificità cliniche assistenziali in sicurezza, e riconoscibilità.

Dott.ssa Camera Maria

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