Ne ha dato notizia l’Associazione Luca Coscioni, che ha fornito assistenza legale al 46enne di Fermignano.
È stata l’Associazione Luca Coscioni a dare notizia della morte di Fabio Ridolfi, il 46enne di Fermignano (Pesaro-Urbino) immobilizzato da 18 anni a letto a causa di una tetraparesi. Stava tentando, proprio con l’assistenza legale dell’Associazione, l’accesso al suicidio assistito, possibile in Italia per le persone nelle sue condizioni, come indicato dalla sentenza Antoniani/Cappato della Corte Costituzionale. Aveva scelto la revoca del consenso alla nutrizione e all’idratazione artificiali, e nel pomeriggio era stata avviata la sedazione profonda e continua.
“Dopo una lunghissima attesa, il 19 maggio scorso aveva ottenuto il via libera dal Comitato etico, che aveva verificato la sussistenza dei requisiti, ma non aveva indicato le modalità né il farmaco che Fabio avrebbe potuto autosomministrarsi”, ricorda l’associazione Luca Coscioni. Così, nei giorni scorsi, Fabio ha comunicato la sua scelta, “una scelta di ripiego”, di ricorrere alla soluzione che avrebbe potuto percorrere senza aspettare il parere mai ricevuto: la sedazione profonda e continua.
“Fabio Ridolfi è morto senza soffrire, dopo ore di sedazione e non immediatamente come avrebbe voluto”, dichiarano Filomena Gallo e Marco Cappato, dell’Associazione Luca Coscioni. Da quattro mesi aveva chiesto l’aiuto medico al suicidio, rientrando nelle condizioni previste dalla Corte Costituzionale, “ma una serie di incredibili ritardi e di boicottaggi da parte del Servizio sanitario l’hanno portato a scegliere la sedazione profonda e la sospensione dei trattamenti di sostegno vitale in corso”.
L’associazione Coscioni fa sapere di unirsi “innanzitutto al dolore della famiglia di Fabio”. E aggiunge: “Da domani continueremo a batterci affinché non si ripetano simili ostruzionismi e violazione della volontà dei malati. Continueremo in ogni caso a fornire aiuto diretto alle persone che si rivolgeranno a noi per far valere il loro diritto di decidere sulla propria vita”.
Ma cos’è, esattamente, la sedazione profonda e continua? E’ un trattamento pensato per spegnere lo stato cosciente del paziente, in modo da risparmiargli inutili sofferenze. Non è una forma di eutanasia. Si tiene in vita il paziente, conservando anche la respirazione autonoma, ma vengono meno tutte le sofferenze. Lo stato in cui si trova il paziente è molto simile a quello dell’anestesia profonda e del coma farmacologico.
Questo tipo di sedazione è definita “continua” se il fine è quello di accompagnare il malato terminale fino alla morte. Contrariamente all’anestesia generale, la sedazione profonda non compromette le funzioni respiratorie, evitando di collegare il paziente a un respiratore. Per attuarla è necessaria una combinazione di farmaci di diverso tipo: sedativi, analgesici, anestetici, ipnotici e ansiolitici. La loro somministrazione in questa pratica è generalmente sicura ed efficace.
Non si tratta di una procedura semplice da attuare, anche perché la soglia del dolore e il livello di sedazione non sono uguali per tutti. Richiede personale sanitario altamente specializzato, ed è necessario che a eseguirla siano degli anestesisti. Tra gli eventi avversi figurano casi di broncospasmo e reazioni allergiche, complicanze cardio-respiratore, arresto respiratorio e/o cardiaco. Ovviamente sono rischi potenziali, bilanciati dalle circostanze molto particolari in cui ci si ricorre a tale pratica.
Fino al 2017, prima dell’approvazione del biotestamento, persino la sedazione profonda era difficile da applicare per pazienti come Fabio Ridolfi. “Non tutti i medici erano convinti della possibilità di operare la sedazione profonda – spiega l’Associazione Luca Coscioni -. Sebbene molti ne rintracciassero la possibilità all’interno della Legge 38/2010 sulle cure palliative, la non espressa previsione all’interno di questa legge frenava alcuni medici dall’aiutare i propri pazienti attraverso la sedazione palliativa continua profonda”.
Redazione Nurse Times
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