Riceviamo e pubblichiamo un’intervista realizzata da Opi Firenze-Pistoia con Riccardo Tartaglia, direttore del Centro gestione rischio clinico e sicurezza del paziente della Regione Toscana.
La corretta compilazione della documentazione clinica, medica e infermieristica, è fondamentale per la corretta presa in carico del paziente, ma anche come strumento di tutela per i professionisti sanitari. L’Ordine delle professioni infermieristiche interprovinciale Firenze-Pistoia presta da sempre grande attenzione al tema e ha voluto approfondire alcuni aspetti con Riccardo Tartaglia, direttore del Centro gestione rischio clinico e sicurezza del paziente della Regione Toscana.
Dottor Tartaglia, perché è importante una corretta compilazione della cartella clinica?
«Perché la cartella clinica rappresenta un documento ufficiale formale rispetto a tutte le procedure e gli accertamenti clinico-diagnostici svolti sul paziente. Serve per avere un quadro clinico e valutarne l’evoluzione. E poi è un documento condiviso tra tante figure professionali: medico di reparto, medici specialistici, infermieri e rappresenta uno strumento di comunicazione formidabile. Aggiorna il team, sempre più multidisciplinare e a volte formato da 10/15 medici e infermieri che hanno necessità di condividere tutte le informazioni sul paziente. È dall’insieme di queste che deriva la conoscenza».
Cosa può succedere in caso di compilazione incompleta o mancante?
«I rischi sono tantissimi: errori diagnostici, diagnosi ritardate, errori di terapia sono fortemente correlati con la cartella clinica. Le informazioni che la cartella comunica ai professionisti, se non sono ben rappresentate possono portare a mancata o ritardata diagnosi. A volte non si scrive tutto quello che è necessario perché è ancora troppo diffusa la convinzione del “meno scrivi meglio è” e questo non è assolutamente vero: le omissioni rappresentano dei reati. Se non si annotano tutte le procedure cliniche, in una eventuale sede di giudizio si può dire tutto quello che si vuole ma non si può dimostrare di aver agito correttamente».
Qual è il ruolo della documentazione clinica in relazione alla Legge Gelli (24/2017) sulla responsabilità professionale?
«La legge 24/2017 aiuta ad uscire dall’autoreferenzialità: per legge non si può deviare dai protocolli dettati dalla letteratura scientifica, a meno che non ci sia un caso singolare che richieda di derogare dalle linee guida. In questo caso la cartella clinica è cruciale, perché permette di dare conto del perché si è deciso di cambiare terapia o approccio. Va sempre motivato il perché non si fa una cosa stabilita da un protocollo di linee guida, per dimostrare la fondatezza del proprio operato».
In ambito di responsabilità professionale, che cosa può comportare una cartella clinica incompleta?
«Ci sono due ordini di responsabilità: di tipo amministrativo, ovvero si può avere un richiamo da parte dell’amministrazione per non aver svolto bene il proprio lavoro; oppure ci possono essere conseguenze di responsabilità penale o civile che si ripercuotono sullo stesso professionista che, per non aver riportato correttamente il percorso clinico/diagnostico, può finire in giudizio o pagare dei risarcimenti. In caso di colpa grave, l’azienda può rivalersi sul professionista».
Ci sono stati casi in cui una redazione inadeguata ha causato dei problemi?
«Una buona percentuale delle malpractice ha origine nella cartella mal compilata: il medico non riesce a dimostrare di aver seguito una procedura corretta perché non l’ha scritto. La cartella clinica è cruciale: il numero delle cause che si perdono per non compilazione o compilazione mancante è intorno al 20/30%».
Quali sono gli accorgimenti da seguire per tutelarsi?
«Il medico e l’infermiere devono farsi aiutare dalla struttura della cartella clinica, compilarla in tutte le sue parti in scrittura chiara e leggibile, altro elemento fondamentale visto che è un documento che deve poter essere condiviso tra diversi professionisti. Credo sia utile predisporre una sorta di check list soprattutto al momento della dimissione per verificare di non aver dimenticato di segnare la terapia, di redigere un referto, di annotare tutti gli accertamenti diagnostici. Di appurare insomma che tutto sia correttamente compilato».
L’ambiente di lavoro può influire su questi processi?
«Tutte queste operazioni hanno bisogno di tempo, e negli ospedali ce n’è sempre di meno. Si lavora in multitasking; un professionista in un’ora può dover portare avanti fino a 5/6 compiti diversi. E poi c’è il problema delle interruzioni, causa importante di errore. In alcuni ospedali all’avanguardia sono state previste delle aree apposite in cui i medici possono redigere in tranquillità la cartella clinica, prescrivere la somministrazione dei farmaci e gli infermieri possono prepararli in tranquillità».
La cartella clinica informatizzata può migliorare la situazione?
«Assolutamente sì, non si può più andare avanti nel 2020 con le cartelle cartacee. È necessario però che sia ergonomica. Essa deve contenere, collegandosi ai diversi sistemi informativi aziendali (ris-pacs, laboratorio analisi, anatomia patologica ecc.) tutte le informazioni necessarie al clinico e consentire l’elaborazione dei dati. l problemi della cartella clinica informatizzata sono talvolta i suoi limiti di usabilità: spesso fa perdere tempo per la lentezza della rete, non evidenzia le condizioni cliniche più importanti, non consente di impostare alert rispetto alla terapia o ai valori critici del laboratorio e questo rappresenta un limite. Da una conoscenza limitata e incompleta del quadro clinico, possono derivare malpractice».
Redazione Nurse Times
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