Introduzione di Scupola Giovanni Maria
Il Santo Padre, Papa Bergoglio in un’udienza generale del suo pontificato in piazza San Pietro, ama spesso ricordare un aneddoto di quando era ancora arcivescovo di Buenos Aires e visitava le case di riposo per anziani: “Una volta chiesi ad una signora: come sta? Come stanno i suoi figli? Bene. Vengono a visitarla? Sì, sempre. E quand’è stata l’ultima volta che la sono venuta a visitare? A Natale. Ed era agosto … Otto mesi senza una visita dei figli”.
Il numero degli anziani si è moltiplicato progressivamente, ma le nostre società non si sono organizzate abbastanza per fare loro posto, con giusto rispetto e concreta considerazione per la loro fragilità e dignità.
Finché siamo giovani, siamo indotti a ignorare la vecchiaia, come se fosse una malattia da tenere lontana; quando poi diveniamo anziani, specialmente se malati e soli, sperimentiamo le lacune di una società programmata sull’efficienza, che conseguentemente ignora gli anziani.
Vorrei, dopo questa breve premessa, lasciarvi alla lettura di questa poesia ritrovata tra gli effetti personali di un paziente, i ricordi di una vita intera.
Buona riflessione.
Che cosa vedi infermiera? Che cosa vedi?
A cosa stai pensando quando mi guardi?
Un uomo vecchio e irritabile, non molto saggio,
di abitudini incerte e con la distanza negli occhi?
Che sbava sul cibo e non risponde.
Uno che, quando dici ad alta voce: “Voglio che ci provi!”
sembra non accorgersene, anche delle cose che fai.
Uno che sempre perde… un calzino o una scarpa?
Uno che, resistendo o non lasciandoti fare ciò che vuoi,
con il bagno o durante la cena, riempie le tue lunghe giornate?
È questo che stai pensando? È questo che vedi?
Allora apri gli occhi, infermiera. Tu non mi guardi.
Ti dirò chi sono, finché sono ancora qui,
così come faccio ciò che mi chiedi e mangio ciò che tu vuoi.
Sono un bambino a 10 anni, con un padre e una madre,
fratelli e sorelle, l’amore l’uno dell’altro.
Un giovane ragazzo a sedici anni, con le ali ai piedi
sognando, presto o tardi, di incontrare l’amore.
Uno sposo precoce a vent’anni, il mio cuore sobbalza,
ricordando i voti che ho promesso di mantenere.
A 25 anni, ho già il mio proprio figlio,
che ha bisogno di essere indirizzato nella vita e condotto al sicuro a casa.
A trent’anni, mio figlio è già cresciuto in fretta,
siamo legati l’uno all’altro, indissolubilmente.
A quarant’anni, i miei giovani figli sono cresciuti e se ne sono andati,
ma la mia donna è ancora al mio fianco, per vedere che io non pianga.
A cinquant’anni, ancora una volta, i bambini giocano sulle mie gambe,
ancora siamo circondati da piccoli, la mia amata e io.
Giorni bui per me, mia moglie ora è morta.
Guardo al futuro, mi vengono i brividi di terrore.
Penso agli anni, all’amore che ho conosciuto.
Ora sono vecchio, e la natura è crudele,
la vecchiaia ti fa apparire come un pazzo.
Il corpo si sbriciola, la grazia e il vigore vengono meno,
vi è ora una pietra, dove una volta ho avuto un cuore.
Ma all’interno di questa vecchia carcassa ancora abita un giovane,
e, di tanto in tanto, il mio cuore malconcio si gonfia.
Ricordo le gioie, mi ricordo il dolore,
e sto amando e vivendo la vita di nuovo.
Penso agli anni, troppo pochi, corsi via troppo velocemente,
e accetto il fatto nudo e crudo che nulla può durare.
Quindi, apri gli occhi e guarda:
non un uomo irritabile e vecchio,
guarda più da vicino, guarda ME!
Non dare mai per scontato che “un vecchio nonno” accanto a te sia solo questo e nulla più. Lui vive e sente proprio come te. In ogni corpo batte un cuore che rimane giovane, anche quando il corpo decade e invecchia. Ricordiamo le parole di quest’uomo ogni volta che vediamo un anziano essere trattato in un modo che non merita.
Scupola Giovanni Maria
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