E’ quanto stabilito con la sentenza del 11/07/2022, n. 21942.
In particolare, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dall’Azienda Ospedaliera confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello di Cagliari che a sua volta, con sentenza del 21 giugno 2016, aveva confermato la sentenza del Tribunale della stessa sede, che in accoglimento della domanda proposta dagli attuali dipendenti dell’azienda Ospedaliera con profilo di collaboratore professionale sanitario (categoria D del CCNL del comparto Sanità, addetti alla struttura complessa di medicina prima), aveva accertato l’illegittimità della loro assegnazione, dal gennaio 1999, a svolgere mansioni, di natura alberghiera e di intervento igienico-sanitario sui degenti, proprie del personale ausiliario delle inferiori categorie A e B ed aveva condannato l’Azienda al risarcimento del danno non patrimoniale.
Più nello specifico, la Corte territoriale ha osservato che dall’istruttoria era emerso che i dipendenti erano stati adibiti in modo costante a mansioni di assistenza di base, quali le incombenze alberghiere, igieniche, di trasporto, di accompagnamento e di mobilizzazione, estranee al loro profilo e rientranti nella declaratoria degli ausiliari, degli O.T.A. e degli O.S.S..
Era emersa una condizione strutturale di carenza di personale addetto allo svolgimento di mansioni di base, che aveva portato gli infermieri a svolgere le mansioni inferiori, quali: il rifacimento dei letti, la distribuzione del vitto, la pulizia ed il cambio di padelle e pappagalli, la cura dell’igiene personale dei pazienti allettati, la movimentazione degli stessi.
Dal quadro probatorio emergeva che il ricorso agli infermieri non era limitato, come dedotto dalla Azienda appellante, a rari casi, coincidenti con particolari esigenze cliniche ma era invece costante ed imprescindibile, alla luce della grave carenza di personale di assistenza di base almeno fino al marzo 2008 mentre in epoca successiva gli infermieri avevano ripreso la maggior parte delle mansioni contrattuali, salvo che per il turno notturno (“tuttavia ha accertato che nella specie fosse stato superato il limite della prestazione esigibile (si veda a pagina 13 della sentenza, capoverso due: “Dal quadro probatorio evidenziato, emerge che il ricorso agli infermieri professionali non fosse limitato, come dedotto dall’appellante, a rari casi, coincidenti con particolari esigenze cliniche, ma fosse, invece, costante ed imprescindibile…”).
La Corte di Cassazione ha dunque ritenuto i motivi addotti dall’Azienda infondati ed inammissibili, confermando la sentenza di secondo grado.
Tale situazione era peraltro stata oggetto di altre rilevanti pronunce, da ultimo della Corte Suprema di Cassazione, sesta sezione civile, con sentenza n. 359 del 10.01.2022.
La Corte d’Appello dell’Aquila, con la sentenza impugnata, in riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato L’Azienda Sanitaria Locale n.2 Abruzzo (Lanciano-Vasto-Chieti) ad adibire l’infermiere in questione alle mansioni proprie dell’inquadramento posseduto, corrispondenti alla categoria D, profilo di infermiere; ha inoltre accertato la dequalificazione subita dal dipendente per il periodo dal luglio 2012 al luglio 2017, condannando la Asl al risarcimento del danno da computarsi nella misura del 10% della retribuzione mensile via via maturata nel periodo, oltre agli interessi dalla domanda giudiziale.
La Corte non ha dunque condiviso la tesi del primo giudice secondo cui non vi sarebbe stata la prova della “prevalenza” dell’espletamento della mansioni inferiori proprie della figura dell’OSS rispetto a quelle infermieristiche risultando “che l’infermiere senz’altro negli ultimi 5 anni…..ha svolto, oltre alle sue funzioni professionali, anche ordinatamente e stabilmente tutte le mansioni che sono proprie della figura dell’OSS, non essendo disponibile personale ausiliario in numero sufficiente a garantire le esigenze primarie dei pazienti”.
Quanto al danno da demansionamento richiesto, la Corte ha poi ritenuto “provata l’esistenza del danno alla dignità professionale sulla base degli elementi desumibili dagli atti di causa, in considerazione della durata (5anni) per la quale è stata svolta, accanto all’attività corrispondente all’inquadramento professionale, anche l’attività corrispondente all’inferiore inquadramento; alla natura di tale attività ultima attività (prettamente manuale rispetto alla natura intellettuale di quella propria dell’infermiere ), del fatto che tale attività inferiore viene svolta in presenza di tutti i pazienti che, quindi, vedono l’infermiere svolgere compiti propri di lavoratori inquadrati in categoria inferiore”.
L’Azienda Sanitaria Locale n.2 Abruzzo ha quindi proposto ricorso presso la Corte Suprema di Cassazione con 3 motivi ritenuti inammissibili con conferma della sentenza n. 238/19 della Corte d’Appello dell’Aquila.
Redazione NurseTimes
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