Qual è il giusto atteggiamento che un infermiere deve assumere nel rapportarsi col paziente? Risponde Martina Crocilla, fondatrice del movimento Infermieri In Cambiamento.
L’art. 28 del C.D. recita: “L’infermiere nella comunicazione si comporta con decoro, correttezza, rispetto, trasparenza e veridicità”. Noi di Infermieri In Cambiamento lo diciamo sempre: il riconoscimento professionale e, di pari passo, il riconoscimento economico, è influenzato da diversi fattori. In una nostra recente infografica (che ha suscitato non poche polemiche, probabilmente perché non pienamente compresa) abbiamo contrapposto due diversi tipi di comunicazione: da una parte, una comunicazione professionale, forse da alcuni considerata più “fredda”; dall’altra una comunicazione più confidenziale, ai limiti della maleducazione e per nulla consona al ruolo di professionisti della salute che ricopriamo.
È chiaro che le strategie comunicative devono essere adattate a seconda del contesto e del paziente con cui ci rapportiamo (ogni caso è a sé). Tuttavia, basandoci sulla realtà odierna, non è difficile incontrare colleghi che si rapportano in modo eccessivamente confidenziale, ai limiti della mancanza di rispetto per l’assistito e per lo stesso decoro professionale. Ci riempiamo la bocca parlando di diritti, di riconoscimenti, di rispetto voluto e mal portato, ma tutto questo, in buona parte, dipende da noi. Comportiamoci da professionisti, rapportiamoci da tali, utilizziamo un linguaggio consono, e tutto il resto verrà da sé. Apparentemente questo tipo di lotta può apparire inutile o banale, oppure può sembrare semplice retorica. Capiamo bene che è difficile scardinare le convinzioni che ci vedono come “amici dei pazienti”, “angeli”, o più semplicemente “praticoni ignoranti”, ma prendere coscienza del proprio ruolo professionale e degli obblighi che questo comporta, senza per questo sentirsi “offesi” o poco empatici (!), è doveroso da parte di tutti noi.
#decidichiessere significa che è nostra responsabilità comportarci e presentarci come professionisti laureati (abbandonando il fantomatico e deleterio concetto di umiltà, nel senso peggiore del termine), consci del proprio ruolo, utilizzando un linguaggio consono e una terminologia adatta, senza scadere in facili confidenze e terminologie inadeguate, che ci inquadrano come semplici praticoni, talvolta un po’ grezzi, talaltra un po’ ignoranti. Se spesso l’utenza ci tratta con poco rispetto e con superficialità, è perché noi ci “vendiamo” in questo modo. Anzi, siamo proprio abituati a “venderci” al ribasso. Il semplice fatto di non rivendicare mai il titolo di “dottore”, nonostante spetti per legge, ne è forse l’esempio più lampante e banale. È possibile essere professionali e, allo stesso tempo, empatici e accoglienti. Provare per credere.
Martina Crocilla
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