E’ la triste storia che molti sanitari hanno raccontato, quella di aver visto il Covid negli occhi, nel corpo e nell’anima di un familiare.
“Lottiamo contro il Covid già da un anno, per la precisione da 14 mesi. Giorni, ore, minuti lunghissimi, in cui abbiamo visto la sofferenza negli occhi delle persone. Abbiamo lasciato proprio quelli scoperti, i nostri occhi…chissà, forse anche per imparare ad utilizzarli meglio. I dispositivi di protezione individuale nascondono tutto il resto.
Li abbiamo usati, quegli occhi, per comunicare con i nostri pazienti.
Spesso sono stati due angoli di specchi, in cui qualcuno ha trovato un po’ di sè dentro l’unica persona che poteva vedere, alla quale poteva toccare le mani.
Ci siamo accostati a quei letti, in ospedale, durante il ricovero, oppure a casa, prima che una persona salutasse la propria famiglia. Ci siamo chiesti quando sarebbe finito tutto questo, abbiamo avuto paura di contagiare chi ci aspettava a casa.
Non ci abbiamo mai pensato prima…ma quanto è bello prendersi per mano? Poter toccare le mani delle persone amate e memorizzare ogni singolo dettaglio, ogni curva e particolare di queste. Tutto quelle piccole cose che il Covid ci toglie, senza nessun preavviso.
In quei momenti sei sicuro di averle viste tutte, di aver conosciuto questa malattia in tutti i suoi lati più crudi. Poi inizi a pensare che forse non è davvero così, il Covid non smette mai di spaventare.
Cambi idea quando, inaspettatamente, su quel letto d’ospedale c’è una persona a te cara. Un fratello, un amico, un genitore o un compagno di vita.
Solo in quel momento ti ricordi che è tutto maledettamente inaspettato, sconosciuto, inspiegabile. Solo in quel momento ti ricordi che prima di essere un sanitario, sei un familiare, un essere umano che ha paura.
Inizia ad andare tutto male. Il telefono non si può silenziare o spegnere, anche quando non hai voglia di parlare con nessuno. A lavoro il pensiero va inevitabilmente altrove, passi giorno e notte a chiederti come avresti potuto evitare tutto questo.
Ma lo avresti davvero potuto evitare? Il dubbio resta comunque.
Sei nelle mani dei colleghi. Ti domanderai se per loro sarà lo stesso, se davvero potranno mettersi nei tuoi panni, anche solo per far arrivare uno sguardo, un saluto, una stretta di mano. E anche queste tristi esperienze fanno apprezzare i lati più belli delle persone che si nascondono dietro quelle tute bianche.
Arriva per tutti, prima o poi, quel giorno in cui pensi di aver fatto la scelta sbagliata. Pensi di desiderare un qualsiasi altro lavoro che non sia il tuo.
Le strade si dividono: se sei fortunato hai la possibilità di portare con te e poter raccontare solo un brutto ricordo, altrimenti il virus può portare via con sè una parte di te, della tua persona e della tua professionalità.
Una cosa è certa, un’esperienza simile non può che cambiare ciò che siamo, dentro e fuori.”
Ce lo dicono sempre, che quando accade a un familiare è diverso, ma siamo davvero così preparati?
La risposta è “no”, non siamo mai abbastanza preparati.
Con l’augurio che chi davvero vuole vaccinarsi, possa farlo quanto prima. Con l’augurio che chi non crede nella scienza, cambi idea e non abbia esperienze similari.
Tratto da una storia assolutamente vera.
Grazie ad Alessia e Chiara, colleghe con una professionalità che davvero pochi infermieri hanno. E’ merito loro se i silenzi si sono trasformati in buone notizie, sono state degli occhi attenti e profondi.
Arianna Michi
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