Test sierologico quantitativo per gli anticorpi neutralizzanti anti-RBD
Il test sierologico quantitativo per gli anticorpi SARS – Cov-2 anti-RBD è nuovo test sierologico in grado di cercare in maniera specifica esclusivamente gli anticorpi neutralizzanti, presenti:
- in risposta all’infezione;
- in risposta alla vaccinazione.
Cosa sono gli anticorpi neutralizzanti del SARS-CoV-2
Ma cosa sono gli anticorpi neutralizzanti? Sono una particolare categoria di anticorpi molto efficaci nel combattere l’infezione da coronavirus, poiché riconoscono nello specifico una regione relativamente piccola della proteina Spike del virus, definita RBD, Receptor Binding Domain.
L’RBD è quella regione che permette al virus di agganciarsi alle cellule umane e infettarle. Dopo aver individuato la porzione RBD, questi anticorpi ci si legano e impediscono così al virus di usarla per penetrare nelle nostre cellule.
“Questo tipo di anticorpi sono quelli più efficaci nel proteggerci dall’infezione, anche se non sappiamo ancora con certezza per quanto tempo rimangano in circolo”, spiega il dottor Locatelli.
Che tipo di informazioni fornisce
“Poiché sono esattamente gli anticorpi che vengono stimolati dai vaccini per il Covid-19 – continua il dottor Locatelli – i test sierologici degli anticorpi totali anti-RBD possono essere utilizzati per:
- valutare e monitorare nel tempo l’efficacia dei vaccini;
- sapere se una passata infezione da Covid-19 ci ha lasciato degli anticorpi neutralizzanti in circolo”.
Al momento purtroppo, data la rapidità con cui si sono evoluti, lo sviluppo di questa tipologia di test non è ancora standardizzata.
E’ inoltre doveroso chiarire che, allo stato attuale delle conoscenze, a prescindere da qualunque sia il risultato, questo test non fornisce indicazioni sull’opportunità o meno di sottoporsi a vaccinazione, né sul grado di protezione contro una eventuale re-infezione da Covid-19.
Test sierologici quantitativi IgM e IgG per la proteina Spike
Gli esami sierologici quantitativi classici invece, a differenza di quelli anti-RBD, individuano in maniera aspecifica gli anticorpi che riconoscono la proteina Spike (che è composta da due parti, S1 e S2), indipendentemente quindi dal fatto che la regione che riconoscono sia quella RBD o meno.
“Questa tipologia di test, che non individua nello specifico gli anticorpi neutralizzanti, fornisce meno informazioni sulla protezione anticorpale contro una futura infezione – spiega Locatelli -. Ecco perché se si vuole controllare l’efficacia della vaccinazione il suggerimento è di effettuare il test di nuova generazione per gli anticorpi anti-RBD.”
Che tipo di informazione danno
Il vantaggio di questi test quantitativi più vecchi per gli anticorpi generici anti-Spike è però quello di poter misurare separatamente le due classi di anticorpi IgG o IgM.
In questo modo, se è vero che abbiamo meno informazioni sull’efficacia protettiva degli anticorpi, dall’altro lato è possibile capire di più su quando è avvenuta l’infezione:
- se il test per gli anticorpi IgM contro la Spike è positivo e quello gli IgG è negativo, allora significa che ci siamo infettati entro 10 giorni;
- quando IgM e IgG sono entrambi positivi l’infezione è avvenuta da più di 10 giorni ma da meno di un mese;
- se invece il test agli IgM è negativo e quello agli IgG è positivo, allora l’infezione è avvenuta almeno 3 settimane/un mese prima.
La memoria immunologica oltre gli anticorpi
I test sierologici, soprattutto quelli di ultima generazione anti-RBD, sono molto utili nel valutare la nostra protezione contro il Covid-19: gli anticorpi in circolo nel sangue permettono al nostro sistema immunitario di difendersi in modo rapido ed efficace di fronte ad agenti patogeni che abbiamo già incontrato.
Va ricordato tuttavia che la nostra memoria immunitaria non si limita alla presenza degli anticorpi in circolo: accanto a questi, non bisogna dimenticare la memoria cellulare, che ha un ruolo fondamentale nella risposta contro SARS-Cov-2 in caso di un nuovo incontro con il virus.
Alcuni recenti studi, come quello pubblicato su Science lo scorso febbraio, hanno dimostrato infatti che, sebbene la persistenza degli anticorpi diminuisca nel corso dei mesi, la memoria immunologica da parte delle cellule B della memoria (specifiche per la proteina Spike di SARS-Cov-2) e dei linfociti T perdura più a lungo nel tempo, fino almeno a 8 mesi dall’infezione e probabilmente per diversi anni (sulla base di quanto successo con l’epidemia della SARS).
Redazione Nurse Times
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