Uno studio italiano pubblicato su Scientific Reports evidenzia la capacita degli animali, opportunamente addestrati, di fiutare l’infezione da SARS-CoV-2 sia su campioni biologici che direttamente le persone.
I cani domestici possono essere addestrati per rilevare la presenza dell’infezione da SARS-CoV-2 in modo affidabile, sia su campioni biologici e in un ambiente controllato, come il laboratorio, che sul campo, annusando direttamente le persone. Lo studio sul tema è stato coordinato da Mariangela Albertini, docente di Fisiologia veterinaria del Dipartimento di Medicina teterinaria e scienze animali della Statale di Milano, assieme alle scienziate Federica Pirrone e Patrizia Piotti, rispettivamente docente e ricercatrice presso lo stesso Dipartimento. Si è avvalso della collaborazione dei tecnici cinofili di Medical Detection Dogs Italy (MDDI) ed è stato appena pubblicato su Scientific Reports.
“Molti studi scientifici ed esperienze in diverse nazioni hanno dimostrato che il cane addestrato, che non appartiene a una specifica razza, ma che dimostra una buona attitudine a collaborare con il proprietario, è in grado di rilevare la presenza di patologie perché queste lasciano nell’organismo una firma odorosa costituita da molecole dette composti organici volatili (VOCs)”, afferma la professoressa Albertini.
In questo studio, inizialmente tre cani, Nala, Otto ed Helix, sono stati addestrati in laboratorio a rilevare la presenza di SARS-CoV-2 in campioni di sudore provenienti da persone infette. Al termine dell’addestramento i cani hanno raggiunto in media una sensibilità del 93% e una specificità del 99%, mostrando un livello di accuratezza altamente concorde con quello della Rt-PCR, utilizzata nei test molecolari e una riproducibilità nel tempo da moderata a forte.
In un secondo momento, Nala e altri quattro cani, Nim, Hope, Iris e Chaos, sono stati addestrati dai tecnici cinofili di MDDI a riconoscere la presenza della patologia annusando direttamente le persone. Per imparare questo compito, e poi per dimostrare l’acquisizione di questa capacità, i cani hanno lavorato nelle farmacie, annusando le persone che, in fila, attendevano di fare il tampone, e nelle quali segnalavano la presenza o meno del virus. In questa fase l’accuratezza dei cinque cani è risultata molto al di sopra del minimo richiesto dall’Osm per i tamponi rapidi.
La performance dei cani come test di screening per identificare correttamente le persone positive è quindi soddisfacente, paragonabile, se non superiore, a quella di un test di screening standard. Col vantaggio, tra gli altri, di non arrecare i fastidi provocati dal tampone nasofaringeo. I risultati di questo studio, nel complesso, supportano l’idea che i cani da rilevamento biologico possano aiutare a ridurre la diffusione del virus in ambienti ad alto rischio, inclusi aeroporti, scuole e trasporti pubblici, e potrebbero rappresentare, per i servizi sanitari e per la comunità, una metodologia di screening non invasiva, economica, veloce e sicura, basata su una ricerca scientifica solida.
“Considerando che ancora, dopo quattro anni, il Covid-19 continua a circolare, spinto dalle nuove varianti altamente trasmissibili, l’auspicio è che questo protocollo possa essere utilizzato nella formazione di squadre cinofile operative sul territorio nazionale, che vengano schierate in occasione di grandi eventi pubblici e privati, o sui mezzi di trasporto, come prima risposta a nuove minacce o future pandemie”, conclude Albertini.
Redazione Nurse Times
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