Il sottosegretario alla Salute ha risposto all’interrogazione presentata in Commissione Affari sociali dall’onorevole Stefania Mammì (M5S) sul tema del cosiddetto vice-infermiere in Lombardia.
“L’inserimento dell’oss nell’ambito dell’area professionale sociosanitaria non ha attribuito allo stesso lo status giuridico di professione sanitaria. L’oss è invece configurato nell’ambito della categoria degli operatori di interesse sanitario, di cui all’articolo 1, comma 2, della Legge n. 43 del 2006, la cui formazione è demandata alle Regioni. In estrema sintesi, l’operatore socio sanitario, si caratterizza per essere sprovvisto delle caratteristiche della professione sanitaria in senso proprio, per la mancanza di autonomia professionale, con funzioni accessorie e strumentali e per una formazione conseguente a corsi regionali (non universitaria). Per tali operatori, inoltre, non è prevista l’iscrizione a uno specifico albo professionale, che è invece obbligatoria per le professioni sanitarie al fine del relativo esercizio professionale. Lo scorso 9 giugno è stato istituito un Gruppo di lavoro tecnico tra ministero della Salute e Regioni, finalizzato alla revisione del profilo di operatore socio-sanitario e della relativa formazione complementare in assistenza sanitaria”.
Questa, in sintesi, la risposta fornita dal sottosegretario alla Salute, Andrea Costa, all’interrogazione presentata in Commissione Affari sociali dall’onorevole Stefania Mammì (M5S) sul tema del cosiddetto vice-infermiere in Lombardia. Di seguito il testo integrale.
“Con riferimento alla questione sollevata con l’atto ispettivo in esame, segnalo quanto segue. Al fine di consentire un completo inquadramento della figura dell’operatore socio-sanitario (oss), ricordo che essa è stata individuata e disciplinata con l’Accordo tra il ministro della Sanità, il ministro per la Solidarietà sociale e le Regioni e province autonome del 22 febbraio 2001. In particolare, l’operatore socio-sanitario è l’operatore che, a seguito dell’attestato di qualifica conseguito al termine di specifica formazione professionale regionale, svolge attività indirizzata a soddisfare bisogni primari della persona, nell’ambito delle proprie aree di competenza, in un contesto sia sociale che sanitario.
Il predetto Accordo, oltre alle attività e alle specifiche competenze dell’oss, individua anche gli obiettivi del relativo percorso formativo attraverso corsi di 1.000 ore, la cui organizzazione viene interamente demandata alle Regioni e alle Province autonome (articolo 2, comma 1). L’istituzione dei corsi e la conseguente individuazione del numero dei posti disponibili è subordinata al fabbisogno regionale annualmente determinato (articolo 2, comma 2).
La figura professionale dell’oss è infatti nata in risposta alle esigenze del Ssn di prevedere operatori che collaborassero con le professioni sanitarie e sociali, anche a seguito dell’evoluzione formativa e ordinamentale di tali professioni, a fronte di una crescente evoluzione dei servizi alla persona. Segnalo che il percorso formativo dell’oss è finalizzato allo svolgimento di una serie di attività rivolte alla cura della persona e del relativo ambiente di vita, con un orientamento prettamente rivolto al sociale. Ne discende che, nel vigente ordinamento, per la tipologia di formazione e le competenze attribuite, l’operatore socio-sanitario può oggi essere annoverato nell’ambito della categoria dell’operatore di interesse sanitario di cui all’articolo 1, comma 2, della Legge 26 febbraio 2006, n. 43.
L’articolo 1, comma 8, del Decreto-legge 12 novembre 2001, n. 402, convertito con modificazioni dalla Legge 8 gennaio 2002, n. 1, ha poi consentito all’operatore socio sanitario di collaborare con l’infermiere o con l’ostetrica, e di svolgere alcune attività assistenziali in base all’organizzazione dell’unità funzionale di appartenenza, conformemente alle direttive dell’assistenza infermieristica o ostetrica e sotto la sua supervisione. In attuazione di tali previsioni normative si è reso dunque necessario completare il profilo dell’oss con una formazione complementare in assistenza sanitaria disciplinata con l’Accordo siglato in data 16 gennaio 2003.
L’osss (operatore socio-sanitario specializzato) – che con formazione complementare acquisisce pertanto una sorta di ‘specializzazione’ – consegue, al termine di detta formazione, un attestato che gli consente di collaborare con l’infermiere e con l’ostetrica nello svolgimento di alcune attività assistenziali, nell’ambito, comunque, dei limiti ben individuati dalla legge e dall’Accordo medesimo. Osservo, altresì, che l’articolo 3-octies del Decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 502 già prevedeva l’istituzione di una specifica area delle professioni sociosanitarie all’interno del Servizio sanitario nazionale. Tale previsione ha trovato attuazione per effetto di quanto previsto dall’articolo 5 della legge n. 3 del 2018.
Ritengo tuttavia necessario evidenziare che l’inserimento dell’oss nell’ambito dell’area professionale sociosanitaria, ai sensi del citato articolo 5 della Legge n. 3 del 2018, non ha attribuito allo stesso lo status giuridico di professione sanitaria (professioni sanitarie ai sensi dell’articolo 1, comma 1, della Legge n. 43 del 2006, sono infatti solo quelle per le quali è prevista una specifica abilitazione all’esercizio professionale all’esito di un corso triennale universitario.) L’oss è, invece, configurato nell’ambito della categoria degli operatori di interesse sanitario, di cui all’articolo 1, comma 2, della Legge n. 43 del 2006, la cui formazione è demandata alle Regioni.
In estrema sintesi, l’operatore socio-sanitario, si caratterizza per essere sprovvisto delle caratteristiche della professione sanitaria in senso proprio, per la mancanza di autonomia professionale, con funzioni accessorie e strumentali e per una formazione conseguente a corsi regionali (e non universitaria). Per tali operatori inoltre non è prevista l’iscrizione a uno specifico albo professionale, che è invece obbligatoria per le professioni sanitarie al fine del relativo esercizio professionale. La predetta ricostruzione giuridico-normativa ha trovato di recente conferma nella giurisprudenza amministrativa (cfr. sentenza Tar Lazio n. 5387/2020, pubblicata il 21 maggio 2020).
Concludo comunicando che, tenuto conto del significativo contributo professionale fornito dall’oss nel contesto emergenziale determinato dalla pandemia, in data 9 giugno u.s. è stato istituito un Gruppo di lavoro tecnico tra ministero della Salute e Regioni, finalizzato alla revisione del profilo di operatore socio-sanitario e della relativa formazione complementare in assistenza sanitaria”.
L’onorevole Celeste D’Arrando (M5S), che risulta tra le firmatarie dell’interrogazione presentata dalla collega Mammì, si dice soddisfatta per tale risposta: “Le carenze di organico riscontrate relativamente a un profilo professionale non possono essere colmate attraverso la ridefinizione delle mansioni di un profilo professionale diverso. Agli operatori socio-sanitari è stato spesso richiesto, in questi anni, uno sforzo e un livello di responsabilità inadeguati alle proprie competenze e alle proprie retribuzioni, in un contesto lavorativo peraltro altamente complesso e stressante. È necessario perseverare nel percorso di interlocuzione che il Governo ha correttamente avviato, per giungere a una nuova qualificazione del profilo di operatore socio-sanitario”.
Redazione Nurse Times
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