Lo sostiene Gianni Rezza (Iss), presente al meeting sul tema convocato dall’Oms a Ginevra.
È in corso a Ginevra il meeting convocato dall’Oms sullo sviluppo rapido di terapie, vaccini e test diagnostici per affrontare l’epidemia di coronavirus. Vi partecipa anche Gianni Rezza, direttore del Dipartimento di Malattie infettive dell’Iss, secondo il quale è possibile che entro due o tre mesi vi siano candidati vaccini pronti per i primi test sull’uomo, ma difficilmente potranno essere impiegati “sul campo” prima di un anno.
“Meno di un anno è molto improbabile – afferma –: Ci sono passaggi necessari per garantire la sicurezza del vaccino, oltre che la sua efficacia. Una volta superati i test sugli animali, si passa alla fase 1, che serve a verificare, in genere su pochi soggetti sani, che il vaccino non procduca effetti collaterali gravi. Poi c’è la fase 2, che valuta la risposta immunitaria. Infine la fase 3, che determina l’efficacia. In casi di emergenza, le agenzie regolatorie potrebbero ‘accontentarsi’ della fase 2 prima di autorizzare l’uso, ma comunque ci sono tempi minimi da rispettare. Anche nel caso del vaccino per l’Ebola, che è stato messo a punto in tempi record, è servito comunque un anno. Bisognerà inoltre valutare l’andamento dell’epidemia per valutare il rapporto costi-benefici di uno sviluppo accelerato”.
Sono diversi gli esperti che già lavorano a un vaccino in tutto il mondo. “È allo studio l’utilizzo di virus vettori animali non replicanti, ma anche vaccini a RNA e la reverse vaccinology – spiega Rezza –. Negli Stati Uniti la Nih sta lavorando su diverse piattaforme ed è molto avanti. Ci sono anche ricercatori russi in campo, e naturalmente anche cinesi. L’Italia sta facendo la sua parte: a Pomezia, grazie a un accordo tra Advent IRBM e Oxford University. In questo caso si sperimenta un virus vettore, un adenovirus di scimmia già utilizzato per un vaccino contro l’Ebola”.
Redazione Nurse Times
Lascia un commento