Il Covid-19 risulta pressoché innocuo per alcuni e fatale per altri. Un nuovo studio aiuta a capire perché.
Sono state individuate nuove suscettibilità di natura ereditaria al Covid-19, ovvero geni che potrebbero almeno in parte spiegare perché l’infezione colpisce con differenti livelli di gravità i diversi individui, risultando praticamente innocua per alcuni e fatale per altri. Merito di uno studio condotto da esperti della Cleveland Clinic e pubblicato sulla rivista BMC Medicine. Si tratta di mutazioni a carico dei geni per le molecole umane che aiutano il processo infettivo del virus.
Il SARS-CoV-2 colpisce in modo del tutto variegato differenti individui: alcuni possono risultare addirittura del tutto asintomatici; per altri la sindrome è gravissima. Alcuni fattori di rischio sono stati già accertati. Ad esempio l’età del paziente, una condizione di obesità e anche malattie cardiovascolari pregresse. Rimane per lo più un mistero, tuttavia, il fatto che anche alcuni individui giovani e sani (apparentemente senza fattori di rischio palesi) possano andare incontro a una sindrome Covid più severa. Da qui l’idea di scoprire nel Dna umano fattori di rischio ereditari, di natura genetica.
Condotto da Feixiong Cheng, il lavoro si è basato sull’analisi di 81mila genomi umani afferenti a tre diversi database, in particolare per quel che riguarda la sequenza dei geni ACE2 e TMPRSS2, che servono a produrre gli enzimi omonimi indispensabili al virus per compiere il suo processo infettivo. Gli esperti hanno catalogato 63 variazioni genetiche (mutazioni) sul gene ACE2 e 68 sul gene TMPRSS2, associate o a maggiore suscettibilità al virus o a fattori di rischio già di per sé noti per aggravare la sindrome Covid (ad esempio problemi cardiovascolari).
Secondo gli scienziati, questo studio pone le basi per approcci personalizzati e di medicina di precisione nella sindrome Covid-19, ma i risultati andranno prima validati ripetendo l’analisi genetica su un campione di pazienti con esito della sindrome più o meno grave.
Redazione Nurse Times
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