Rilanciamo l’intervista realizzata dal Corrire del Veneto alla 47enne di Vo’ Euganeo (Padova) dimessa dopo un giorno e mezzo.
E’ la prima paziente guarita dal coronavirus, anche se non ha mai pienamente sviluppato la malattia. Positiva al tampone, è rimasta in ospedale un giorno e mezzo, poi è stata dimessa e mandata in isolamento a casa per 14 giorni. E così questa signora di 47 anni, proprietaria di un bar a Vo’ Euganeo (Padova), è diventata l’emblema della speranza. La dimostrazione che di questo virus non si muore, se non si ha già un quadro clinico compromesso. «Non ho mai avuto paura – confida -. Sono a casa, sto bene e sono tranquilla, non ho pensieri».
Fuori dalla porta, però, c’è molta agitazione.
«E infatti non guardo più la tv. Sono scandalizzata da tanto panico, sembra che ci sia l’Ebola. Mi fa arrabbiare, ma tornando indietro agirei di nuovo nello stesso modo».
Quando è arrivato l’esito positivo si sarà preoccupata…
«In effetti non me l’aspettavo, ma il disorientamento è durato mezz’ora. Ero in pensiero soprattutto perché ti vengono a prendere in ambulanza e non sai dove ti portano, né cosa ti faranno. Il tampone l’ho fatto a Padova il 22 febbraio, e il giorno dopo mi hanno chiamata per dirmi che era positivo e che mi sarebbero venuti a prendere per portarmi in ospedale».
E com’è andata?
«Ho cercato di sdrammatizzare con gli operatori del Suem 118: “Non credo che sarete tanto contenti di venirmi a prendere”, ho detto. Sono stati tutti molto gentili e mi hanno trasferita all’ospedale di Padova. Una reazione del genere sta rovinando il nostro Paese e danneggia le persone che davvero stanno male e hanno bisogno di andare in ospedale. Che tristezza».
Tutti sembrano avvertire i sintomi del coronavirus…
«Ma sì, riempiono gli ospedali, telefonano continuamente ai medici, rischiando di mandare in tilt un sistema che invece sta funzionando bene. All’estero passa il messaggio devastante che siamo appestati».
Però lei il tampone l’ha fatto…
«Lavoro a contatto col pubblico, e la gente continuava a chiedermi: “Tu non ti sottoponi al test?”. Mi sono decisa per correttezza e responsabilità nei confronti della clientela. Mi hanno sistemato in una stanza degli infettivi, ovviamente da sola. Sono sempre rimasta con i vestiti addosso, ci ho pure dormito. Non mi sono tolta nemmeno i jeans, solo le scarpe. Non ho portato il pigiama, ho detto subito che volevo andare a casa. Sono rimasta un giorno e mezzo e poi mi hanno dimessa».
Che atmosfera ha trovato?
«Medici e infermieri sono proprio bravi. Hanno un carico di lavoro enorme e devono pure rispondere all’ansia e alle continue domande della gente. Eppure ti mettono a tuo agio, sono gentili, umani, ti rasserenano. E infatti ero tranquilla: abbiamo parlato di quello che sta succedendo. Quando ci siamo salutati, mi hanno detto: “Arrivederci”. E io: “Speriamo di no”».
Quanti giorni le mancano per finire la quarantena?
«Quattro sono già passati, ne mancano dieci. Ma non tengo il conto, mi riposo. Sono una donna che lavora tantissimo, erano anni che non mi svegliavo tardi per due giorni di fila. Non faccio niente, recupero dopo. Tanto adesso tutte le attività a Vo’ sono chiuse e nessuno muore di fame».
Cosa consiglia a chi vive la sua stessa esperienza?
«Sono stanca di ripetere che sto bene. E’ vero che per le persone già debilitate il virus può essere pericoloso, e ho grande rispetto e partecipazione per il dramma di Addano Trevisan, che conoscevo. Però, per chi è positivo ma asintomatico, è un’influenza, passa. Non lo dico per dire, è così: non sono un dottore, ma lo vivo sulla mia pelle. Mi dispiace vedere tanta gente che si agita».
Gli abitanti di Vo’ come la stanno vivendo?
«Mi pare si stiano rasserenando: un po’ passeggiano, un po’ stanno a casa, ma si stanno abituando. Il dovere dei media è calmare gli animi: ci sono anziani che vivono da soli e guardano la tv per aggiornarsi, non vanno spaventati».
Redazione Nurse Times
Fonte: Corriere del Veneto
Segui l’evoluzione dell’epidemia in tempo reale
Lascia un commento