Il presidente dell’Ordine, Giovanni Grasso, evidenzia la difficile situazione nell’area Sud-Est della Toscana.
“Nella prima fase c’era stata la chiamata d’emergenza dalla graduatoria e sono stati assunti circa 220 infermieri. Ora c’è una richiesta per circa 300 unità, ma l’iter per l’assunzione non è immediato: ci vogliono circa 45 giorni. E infermieri senza lavoro non ce ne sono. Così sono stati deliberati dall’Azienda, per tutta l’area Sud-Est, incrementi come turnover di infermieri di famiglia e comunità, oltre che di 118, con la richiesta estrapolata dalla graduatoria di mobilità, dalla graduatoria Estar in corso di validità e tramite agenzie interinali”. Così Giovanni Grasso (foto), presidente di Opi Arezzo, denuncia la carenza di infermieri – circa 300 unità, un centinaio solo ad Arezzo – nell’area Sud-Est della Toscana.
Per il momento, secondo Grasso, la situazione è sotto controllo, ma ci si sta avvicinando a uno scenario che vede tanti posti letto occupati da pazienti Covid, con tutto quello che ne consegue. Ovvero, aumentando i letti, c’è bisogno di più assistenza. “Quello Covid – spiega Grasso – è un paziente che necessita di un certo tipo di attenzione, anche nella vestizione. E c’è anche un aspetto psicologico da non sottovalutare, ovvero che questi infermieri assistono malati che non possono entrare in contatto diretto con i familiari. E’ un impegno notevole anche su questo fronte. Per tanti motivi chiediamo la predisposizione di un albergo, dove gli operatori sanitari possano riposare dopo il turno, evitando anche la preoccupazione di dover tornare a casa. Senza dimenticare il territorio, perchè è anch’esso sotto organico. Ho fatto istanza al direttore generale dell’azienda che mi ha assicurato massimo impegno a cercare più personale”.
Infine una richiesta: “Gli infermieri avrebbero meritato di essere inseriti nella task-force anti-Covid che il Comune di Arezzo ha istituito. Tutti i protocolli ministeriali prevedono la presenza di infermieri nelle fasi in cui si organizzano percorsi dei quali poi sono operativamente protagonisti. Faccio notare che sono molti gli infermieri impegnati nella gestione del contact tracing, e mi è facile ipotizzare che, se si seguirà la strada dell’esecuzione del test di screening, ci sarà bisogno del supporto della nostra categoria al fianco dei medici di famiglia”.
Redazione Nurse Times
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