Da uno studio pubblicato su Humanities & Social Sciences Communications, tramite Nature.com, arriva una ferma condanna della politica anti-Covid adottata nel Paese scandinavo.
La Svezia, come noto, ha adottato da subito una strategia diversa dalla maggior parte dei Paesi nel fronteggiare l’emergenza coronavirus: niente mascherine, scuole aperte e nessuna restrizione legale. Ma con quali risultati? La risposta arriva da uno studio scientifico pubblicato su Humanities & Social Sciences Communications, tramite Nature.com, che a due anni dallo scoppio della pandemia definisce il modello svedese un vero e proprio “fallimento”.
La ricerca ha coinvolto un gruppo multidisciplinare di esperti in epidemiologia, medicina, studi religiosi, storia, scienze politiche e diritti umani tra Belgio, Svezia e Norvegia. Tra i dati analizzati spicca quello riguardante il tasso di mortalità nel Paese scandinavo, che “nel 2020 è stato 10 volte superiore rispetto a quello della vicina Norvegia”.
La pandemia è stata gestita dalla Agenzia di sanità pubblica (Folkhälsomyndigheten), organismo indipendente che dal 2014 ha però trasferito tutti i suoi più autorevoli consulenti scientifici all’Istituto Karolinska. “Con questa configurazione, l’autorità mancava di competenza e poteva ignorare i fatti scientifici” spiegano gli autori dello studio.
Le raccomandazioni, rivolte agli over 70 e ai gruppi a rischio, sono state quelle di evitare i contatti sociali, lavorare da casa, lavarsi spesso le mani, adottare il distanziamento sociale di due metri ed evitare viaggi non indispensabili. Sono rimasti aperti i confini nazionali, come pure le scuole per i minori di 16 anni, i negozi, i ristoranti e i bar. Una politica che non ha mai previsto l’imposizione del lockdown, mirata alla ricerca di un’immunità di gregge “naturale” e a limitare il più possibile danni economici.
Ne valeva la pena? “La strategia svedese del laissez-faire ha avuto un grande costo umano per la società svedese – ribadiscono gli autori dello studio -. Diversi studi hanno dimostrato che i costi umani sarebbero stati significativamente inferiori in Svezia se fossero state attuate misure più severe”. E ancora: “Il popolo svedese è stato tenuto all’oscuro di come sia possibile contrarre e trasmettere il Sars-Cov-2, della trasmissione del virus da parte di individui asintomatici, della protezione offerta dall’uso delle mascherine”.
Non solo. “A molti anziani è stata somministrata morfina invece di ossigeno, nonostante le scorte disponibili, ponendo fine di fatto alla loro vita”, si legge nel rapporto degli studiosi, che inoltre evidenzia: “La decisione di fornire cure palliative a molti anziani è molto discutibile. Pochissimi anziani sono stati ricoverati per Covid. Un trattamento appropriato è stato negato senza esame medico e senza informare il paziente o la sua famiglia. Molti funzionari hanno continuato a negare ogni responsabilità e c’è stata solo una limitata protesta pubblica in Svezia quando questo è venuto fuori. La narrazione comune è che le persone nelle case di cura sono destinate comunque a morire presto”.
Nella primavera del 2020 molte persone non sono stati ricoverati negli ospedali e non hanno nemmeno ricevuto un esame sanitario, poiché non erano considerate a rischio. Risultato? Sono morte a casa, nonostante avessero cercato aiuto. A dispetto dei segnali di criticità riguardo ai posti letto, poi, l’Agenzia per la salute pubblica e il Governo hanno continuato a sostenere che c’erano ancora letti di terapia intensiva. E che la loro strategia non è fallita, perché il contagio si è mantenuto su livelli che il sistema sanitario poteva gestire. Tuttavia la Svezia, in base a uno studio di 14 Paesi europei che ha esaminato l’impatto sul tasso di mortalità da Covid-19, ha ottenuto il punteggio più basso sull’accessibilità dei letti di terapia intensiva.
Un’altra grave inadempienza emerge inoltre dall’indagine. “L’Agenzia della salute pubblica ha negato o declassato il fatto che i bambini potessero essere infettivi, sviluppare malattie gravi, o guidare la diffusione dell’infezione nella popolazione, ma le e-mail interne indicano il loro obiettivo di usare i bambini per diffondere l’infezione nella società”. Lo studio mette quindi in evidenza la mancanza di trasparenza delle autorità svedesi, parlando addirittura di “segretezza, insabbiamento e manipolazione dei dati”.
In definitiva, loi studio esprime un gioudizio di condanna sulla politica svedese: “Questa pandemia ha rivelato diversi problemi strutturali nella società svedese, a livello politico e giudiziario, nella sanità, nei media ufficiali e nella burocrazia, con il decentramento, la mancanza di responsabilità e indipendenza, il rifiuto di informazioni accurate e complete al pubblico come problemi ricorrenti a diversi livelli”.
Il rapporto suggerisce però anche una possibile via d’uscita: “Se la Svezia vuole fare meglio nelle future pandemie, il metodo scientifico deve essere ristabilito, anche all’interno dell’Agenzia di sanità pubblica. Probabilmente farebbe una grande differenza se venisse ricreato un istituto separato e indipendente per il controllo delle malattie infettive. Raccomandiamo che la Svezia avvii un processo autocritico sulla sua cultura politica e sulla mancanza di responsabilità dei decisori per evitare futuri fallimenti, come è accaduto con la pandemia di Covid-19”.
Redazione Nurse Times
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