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Coronavirus, la seconda ondata vista da un’infermiera che ha vissuto la prima: “Voglio tornare in prima linea”

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Coronavirus, la seconda ondata vista da un'infermiera che ha vissuto la prima: "Voglio tornare in prima linea"
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Rilanciamo la storia raccontata da una giovane collega dell’Ausl Romagna a Sanità Informazione.

A marzo lavorava in un reparto Covid e ha visto molte persone morire in pochi giorni. «Nessuno ci aveva chiesto nulla allora – racconta Cristina O., giovane infermiera dell’Ausl Romagna -. Lo abbiamo fatto e basta». In breve tempo ha dovuto imparare una nuova procedura per vestirsi e quanto fosse importante l’ordine in cui ogni cosa veniva tolta a fine turno. A casa riportava i ritmi stressanti di reparti senza posa e l’ansia di poter essere contagiata ogni giorno.

«Ora lavoro in un reparto considerato “a basso rischio” – dice Cristina –, dove i pazienti arrivano con il tampone già eseguito. Eppure, alla dimissione, una persona è risultata positiva». Il virus entra lo stesso, nonostante le precauzioni: «È perché i contagiati sono troppi e anche tra noi colleghi è tornato l’incubo. Vedo sguardi molto preoccupati e sento che in reparto circola di nuovo quella paura che stavamo dimenticando».

«Stanno chiudendo di nuovo i reparti per farli diventare Covid, è un flashback che non si riesce a ignorare», risponde quando le viene chiesto cosa si percepisce in ospedale. «Tornare a marzo – aggiunge – è una sensazione indescrivibile, che spero non capiti più. Vorrei che riuscissimo a spalmarla nel tempo, a gestire anche le morti. Otto mesi fa succedeva così spesso e così in fretta che sento di non aver mai processato completamente tutte le persone che ho visto morire».

Ora Cristina potrebbe guardare la seconda ondata da lontano, in un reparto che non sfida il virus ogni giorno. Eppure racconta di non esserne capace: «Ho deciso che parlerò con la mia caposala e chiederò di tornare in un reparto Covid. Non me la sento di vivere in una bolla protetta». Parole che pronuncia con tranquillità, come se fossero ovvie.

Ancora: «Non so se sia davvero quella “sindrome della crocerossina”, come si dice, ma a me non piace sentirmi protetta mentre so che fuori ci sono colleghi che stanno soffrendo tutto il peso della seconda ondata. Sento che lo devo fare. La mia vita ho sempre voluto devolverla agli altri e in questa situazione voglio stare in prima linea. Eroismo? Per me è solo un dovere morale». E tutti i rischi di numeri così alti, terapie intensive quasi piene? «Ho già visto quello che c’è stato, sono pronta».

Ora Cristina, alle persone che sono a casa, chiede solo di rispettare le misure, di uscire il meno possibile, per evitare un nuovo lockdown: «Dentro di me spero che quello che stiamo facendo sia efficace. E spero nella gente, che farà il proprio dovere, anche se stanca delle regole». Perché non c’è altra scelta? «Perché qui non possiamo arrenderci. Dobbiamo lavorare insieme. L’alternativa sono solo tanti morti e il doppio dei rimpianti».

Redazione Nurse Times

Fonte: Sanità Informazione

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