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Coronavirus, Israele opta per terza dose di vaccino Pfizer a immunodepressi

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Coronavirus, Israele opta per terza dose di vaccino Pfizer a immunodepressi
A paramedic with Israel's Magen David Adom medical services prepares a dose of the Pfizer-BioNtech COVID-19 vaccine at an IKEA branch in the Israeli city of Beit Shemesh on February 22, 2021. (Photo by AHMAD GHARABLI / AFP)
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Preoccupa la rinnovata diffusione del Covid nel Paese. Usa predicano cautela sulla necessità di un ulteriore richiamo.

Il ministero della Sanità di Israele, alla luce della rinnovata diffusione del coronavirus nel Paese, ha dato istruzione alle casse mutue di somministrare una terza dose di vaccino Pfizer agli immunodepressi. L’obiettivo è di impedire che siano contagiati e sviluppino forme gravi della malattia. Il provvedimento riguarda chi ha ricevuto trapianti di cuore, polmoni, fegato, midollo osseo o reni. La terza dose può essere somministrata inoltre a chi sia stato o sia ancora sottoposto a cure oncologiche di vario genere.

Secondo il ministero, il periodo ottimale per la vaccinazione con la terza dose è di otto settimane dopo la seconda. In ogni caso non devono trascorrere meno di quattro settimane. Gli immunodepressi devono comunque mantenere la massima cautela: sono incoraggiati a indossare la mascherina, a osservare l’igiene personale e ad astenersi da contatti con persone malate o non vaccinate.

Giovedì scorso Pfizer-BionTech aveva annunciato di essere intenzionata a chiedere l’autorizzazione alla Fda americana per una terza dose del vaccino sviluppata in maniera specifica contro la variante Delta, che in poco tempo diventerà quella predominante un po’ in tutto il mondo. L’azienda farmaceutica aveva spiegato che esistono “dati incoraggianti”, ma in una nota congiunta Fda e Cdc (Centers for Disease Control) avevano messo in dubbio la necessità della terza dose, al momento non supportata da evidenze scientifiche.

Il dottor Mikael Dolsten, di Pfizer, ha detto che i primi dati dello studio di richiamo dell’azienda suggeriscono che i livelli di anticorpi delle persone aumentano da cinque a dieci volte dopo una terza dose, rispetto alla loro seconda dose effettuata mesi prima. L’immunologo Anthony Fauci, consigliere medico del presidente americano Joe Biden, ha dal canto suo riconosciuto che “è del tutto concepibile, forse probabile” che in futuro siano necessari richiami.

Lo stesso Fauci, tuttavia, ha detto che era troppo presto perché il Governo raccomandasse un richiamo del vaccino, e si è detto d’accordo con la posizione di Fda e Cdc di non considerare necessari i richiami in questo momento. “Questo non significa che ci fermiamo qui – ha specificato –. Ci sono studi in corso mentre parliamo di esaminare la fattibilità su se e quando dovremmo dare un richiamo alle persone”.

Secondo il consigliere medico di Joe Biden è abbastanza possibile che nei prossimi mesi, “con l’evoluzione dei dati”, il Governo possa sollecitare un richiamo basato su fattori come l’età e le condizioni mediche di base. L’ipotesi di somministrare la terza dose di vaccino, al momento, lascia scettica gran parte della comunità scientifica statunitense. Nel Paese l’immunizzazione completa riguarda meno della metà della popolazione (48%) e la sensibile risalita dei casi di questi giorni è stata registrata negli stati dove le vaccinazioni sono ancora poche.

La settimana scorsa la direttrice del Cdc, Rochelle Walensky, ha spiegato che ci sono due realtà: zone dove le persone completamente immunizzate tornano alla vita normale e altre dove le ospedalizzazioni continuano a crescere. L’ostilità verso i vaccini è più alta negli stati rurali e nel sud del Paese.

Redazione Nurse Times

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