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Coronavirus, infermiere arruolato nella task-force della Protezione civile ci racconta le sue sensazioni.

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Coronavirus, infermiere arruolato nella task-force della Protezione civile ci racconta le sue sensazioni.
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Abbiamo interpellato Ciro Genchi, collega barese del 118, in partenza per una delle regioni più colpite dall’epidemia: “C’è un pizzico di paura, ma anche tanta voglia di aiutare colleghi e pazienti in difficoltà”.

Infermiere del 118 in servizio su automedica, 49 anni, consigliere di Opi Bari. Questo, in estrema sintesi, l’identikit di Ciro Genchi (foto), uno dei circa 9.500 volontari che hanno aderito all’iniziativa “Infermieri per Covid”. Ed è uno dei 500 selezionati, in base alle esperienze professionali “ritenute necessarie”, per la task-force che la Protezione civile ha deciso di destinare alle regioni più colpite dall’epidemia (Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Trentino, Valle d’Aosta). Un primo gruppo è già partito lo scorso 5 aprile. Altri due lo faranno rispettivamente il 10 e il 14.

Lui rientra nel gruppo del 10. Da noi contattato, ha così raccontato ciò che lo aspetta tra due giorni: «Venerdì andrò a Roma, dove mi sottoporrò al tampone per il Covid-19. Se risulterò negativo, mi sarà assegnata la destinazione. Non ho preferenze particolari: in questo caso prevale lo spirito solidale, ossia la volontà di aiutare colleghi e pazienti in difficoltà. Al momento mi sento un po’ solo, in questa avventura, perché non conosco nessun collega in partenza da Bari, anche se qualcun altro c’è. Ci ritroveremo in stazione per prendere il treno delle 13, sul quale non potremo comunque fraternizzare più di tanto, dovendo sedere su sedili a distanza di sicurezza».

Quali sentimenti albergano nell’animo di chi si appresta a vivere un’esperienza del genere? «La paura – spiega Ciro – è innegabile. La paura di essere contagiati, soprattutto. I numeri, del resto, parlano chiaro: un terzo degli infetti appartiene alla categoria degli operatori sanitari. E gli infermieri, in particolare, sono molto coinvolti. Andrò a lavorare in una zona dove si contano molti più casi che nella mia regione. Si pensi alla Lombardia, possibile destinazione, che ne conta circa 52mila. Oppure all’Emilia Romagna, dove il numero dei contagi, a parità di popolazione, è sette volte più alto che in Puglia: 17.825 contro 2.514, quanti se ne registrano nella sola provincia di Piacenza. Un pizzico di paura, quindi, ci sta. Ma sono mosso anche da una forte motivazione, derivante appunto dal desiderio di dare una mano. Le immagini dei colleghi con il volto segnato da ore e ore di mascherina sono bastate a convincermi».   

Ma come ci si prepara ad affrontare questo viaggio? «Negli ultimi tempi, per fortuna, io e i miei colleghi baresi ci siamo impratichiti nell’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale. Per esempio, abbiamo svolto prove di vestizione e svestizione, fondamentali per chi deve indossare una tuta per tante ore, con i disagi che ne derivano. Nei primi giorni dell’emergenza, invece, eravamo del tutto impreparati, non avendo ricevuto una formazione specifica per il rischio biologico. Nemmeno i calzari, avevamo: ai piedi dovevamo mettere delle buste per la spazzatura. Si tratta di una grave carenza per chi lavora nel campo dell’emergenza-urgenza. Nella città di destinazione mi aspetto di trovare una situazione migliore, almeno da questo punto di vista».

Dal futuro prossimo a quello che gli infermieri italiani vivranno quando il coronavirus sarà un triste ricordo, speriamo presto. Oggi tutti li definiscono “eroi”, ma poco più di un mese fa erano in tanti a bistrattarli. E domani? Otterranno i riconoscimenti che meritano? Ciro ha le idee chiare in merito: «Sotto il profilo economico non cambierà nulla: resteremo una categoria sottopagata. Andrà avanti così finché non saremo oggetto di una contrattazione specifica, alla pari dei medici. Ce lo meritiamo, se non altro perché siamo professionisti laureati. Dal punto di vista della considerazione generale, invece, credo che cambierà molto. Anzi, è già cambiato molto. Ora la gente ci guarda con maggiore rispetto, avendo compreso l’importanza della nostra figura e i rischi ai quali siamo esposti. Personalmente, non ho mai ricevuto tanti ringraziamenti e attestati di stima come in questo delicato momento, anche da parte di sconosciuti. Il coronavirus rappresenta una brutta pagina, ma sono certo che la volteremo presto. E ne usciremo tutti arricchiti, almeno umanamente».

Redazione Nurse Times

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