L’Istituto Superiore di Sanità ha presentato un documento pubblicato sul suo sito ed elaborato con gli esperti di statistica della Fondazione Bruno Kessler di Trento.
L’Istituto Superiore di Sanità (Iss) risponde ai dubbi sui dati relativi all’epidemia di coronavirus e spiega come la sfida, adesso, sia comprendere gli effetti delle misure a livello locale. Lo fa con un documento pubblicato sul suo sito e presentato in una conferenza stampa alla quale hanno partecipato gli esperti di statistica della Fondazione Bruno Kessler di Trento, che collaborano con l’Istituto.
Uno dei temi più dibattuti è l’indice di contagio Rt, che ovunque in Italia è ancora superiore a 1. Vale a dire che una persona positiva può contagiarne un’altra. Per l’Iss è “affidabile, anche se non tiene conto degli asintomatici”, in quanto questi ultimi costituiscono “una quantità molto instabile nel tempo”, come ha spiegato Stefano Merler, della Fondazione Kessler.
Rispetto alla richiesta delle Regioni di utilizzare solo cinque parametri la differenza è grande. La richiesta è di scegliere le misure sulla base della percentuale di tamponi positivi, escludendo tutte le attività di screening e re-testing degli stessi soggetti, un Rt calcolato sulla base della sorveglianza integrata Iss, il tasso di occupazione dei posti letto totali di terapia intensiva per pazienti Covid e quello dei posti letto totali per pazienti Covid, oltre alla possibilità di garantire adeguate risorse per il tracciamento dei contatti, isolamento e quarantena, e numero, tipologia di figure professionali e tempo/persona dedicati in ciascun servizio territoriale al contact-tracing.
Il fisico Giorgio Parisi, dell’Università Sapienza di Roma, apprezza il metodo con cui viene eseguito il calcolo e osserva: “Dai report settimanali dell’Iss emerge che l’indice Rt ha una forchetta molto ampia. Non c’è da scandalizzarsi: vuol dire che l’analisi statistica dei dati è ben fatta, ma se la forchetta è larga la conclusione è che l’indice Rt è molto ampio. Pertanto, in questo momento, l’Rt è un indice poco affidabile. Lo era fino a due settimane fa, ma adesso non lo è più”. Inoltre va comunicata l’intera estensione della forchetta, dal valore minimo al massimo: “Se viene fatta una comunicazione solo sul valore centrale, senza dare il margine di incertezza, è una comunicazione che non va bene”.
Un altro punto controverso riguarda le terapie intensive. “Il tasso di occupazione delle terapie intensive e delle aree mediche è un indicatore solido, per questo non se ne descrive il flusso in entrata e uscita”, rileva l’Iss. Un punto di vista che non convince Parisi: “Non capisco perché nei dati non ci siano entrate e uscite dalle terapie intensive”.
Quanto all’accesso ai dati più in generale, l’Iss ha osservato: “Non tutti i dati disponibili sono pubblicati in un database interrogabile perché non tutti i dati sono pubblici e disaggregati per garantire il rispetto delle norme che nel nostro Paese tutelano la privacy e delle ordinanze che disciplinano la sorveglianza epidemiologica”. Per questo, ha aggiunto l’Istituto, sono allo studio “ulteriori format di accesso ai dati nel rispetto della normativa”.
Ma per comprendere quanto sta accadendo i dati sono preziosi e, mentre alcune Regioni chiedono una semplificazione, secondo Parisi i 21 indicatori adottati attualmente “sono pochi”. Sarebbe utile, per esempio, sapere quante sono le chiamate ai pronto soccorso e il tempo di attesa delle ambulanze. A livello locale bisognerebbe inoltre fare controlli a campione: “Un controllo di qualità dei dati sarebbe importante”. In ottobre, ha aggiunto, “la macchina di presa dei dati era buona, ma in certe regioni è ormai stravolta dall’emergenza, il contact tracing è saltato e con questo tante altre cose”. Per questo bisogna “andare su informazioni più sicure, come terapie intensive e decessi”.
Redazione Nurse Times
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