L’antimalarico si è dimostrato efficace in vitro e su modelli animali contro numerosi virus.
Il Chinese Clinical Trial Registry ha annunciato nelle scorse settimane l’avvio di una sperimentazione clinica con clorochina, un antimalarico dimostratosi efficace in vitro e su modelli animali contro numerosi virus tra cui il coronavirus della SARS e del lopinavir/r, una combinazione di due farmaci precedentemente usata con successo contro un altro tipo di virus (HIV) ed utilizzata precedentemente durante l’epidemia di SARS che colpì la Cina nel 2003, e i primi risultati per quanto riguarda il primo farmaco sembrano incoraggianti, tanto che secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa cinese Xinhua gli esperti cinesi lo inseriranno nelle prossime linee guida per il trattamento del virus.
L’idea di usare la clorochina contro il coronavirus della SARS fu lanciata da Andrea Savarino, ora ricercatore dell’Istituto Superiore di Sanità, nel 2003 attraverso la rivista scientifica Lancet Infectious Diseases. L’ipotesi si basava su un’analisi della letteratura da cui si evinceva un effetto antivirale ad ampio spettro della clorochina. Inoltre quest’ipotesi teneva conto delle proprietà immunomodulanti del farmaco, usato talvolta con successo nel trattamento dell’artrite reumatoide.
L’anno successivo, dopo che l’epidemia di SARS si fu esaurita, il gruppo di Marc Van Ranst, della Katholieke Universiteit Leuven (Belgio) dimostrò gli effetti inibitori della clorochina in vitro sul coronavirus della SARS. L’effetto fu poi confermato indipendentemente da altri gruppi di ricerca.
Nel 2009 sempre il gruppo del professor Van Ranst mostrò l’efficacia in vivo della clorochina, su un modello animale (topi infettati con un altro coronavirus). Il lopinavir/r fu saggiato empiricamente in pazienti con SARS da VCC Cheng et al. del Queen Mary Hospital di Hong Kong durante l’epidemia del 2003, i quali riportarono qualche beneficio nei pazienti trattati.
Questo farmaco appartiene alla categoria degli inibitori della proteasi di HIV, un enzima fondamentale per il taglio finale delle varie componenti virali. Il fatto che in seguito fosse stato dimostrato inibire anche una proteasi del virus della SARS fu piuttosto stupefacente, perché la proteasi di HIV e quelle dei coronavirus non condividono somiglianze strutturali.
L’idea di usare la clorochina in combinazione con lopinavir e ritornavir contro il coronavirus della SARS fu lanciata per la prima volta sempre da Savarino nel 2005, basandosi su osservazioni da lui precedentemente effettuate in cellule infettate con un virus di una famiglia diversa (HIV).
Il principio è che la clorochina mostra un effetto antivirale sinergistico con il lopinavir, a causa del fatto che i due farmaci somministrati insieme bloccano alcune pompe, come la glicoproteina P, che attraversano la membrana delle cellule e che estrudono dalla cellula il lopinavir. Questo effetto permetterebbe una migliore penetrazione del farmaco nei tessuti. Dato che queste pompe di membrana sono ubiquitarie nei tessuti, si ipotizzò che questo effetto potesse anche sussistere nelle cellule che sono bersaglio dei coronavirus.
La scorsa settimana è stato annunciato che la clorochina ed il ritonavir (una delle due componenti di lopinavir/r) hanno un effetto inibitorio sul nuovo coronavirus nCoV 2019, che condivide con il virus della SARS circa l’80% del genoma. “Invito tutti alla massima cautela – dichiara Andrea Savarino –, perché spesso effetti osservati in vitro ed in modelli animali non si rivelano poi riproducibili quando traslati all’uomo, e anche se i primi risultati sui pazienti sembrano positivi ci vorrà tempo per avere un’indicazione definitiva. Il sito web dove è stata annunciata la sperimentazione clinica purtroppo non riporta il dosaggio di clorochina cui verranno sottoposti i pazienti. Sulla base di una pregressa analisi della letteratura, raccomanderei un dosaggio di 500 mg al giorno di clorochina. Dosaggi inferiori di clorochina, almeno quando somministrata in monoterapia hanno una bassa probabilità di esercitare effetti antivirali ed immunomodulatori significativi, come emerge da precedenti analisi della letteratura”.
Redazione Nurse Times
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