La mutazione inglese è già piuttosto diffusa, mentre si affacciano quelle brasiliana e sudafricana. Alcuni governatori e sindaci hanno stabilito misure restrittive e zone rosse localizzate.
Sono tre le varianti del coronavirus segnalate anche nel nostro Paese e monitorate con particolare attenzione dall’Istituto Superiore di Sanità (Iss): inglese, brasiliana e sudafricana. Queste mutazioni, già diffuse in diverse regioni, potrebbero costringere il Governo a cambiare la strategia per contenere l’epidemia.
Nel caso della variante inglese, a mettere in allarme gli esperti è soprattutto l’elevata contagiosità del ceppo che si è originato a settembre nel Kent e che nel giro di soli due mesi è diventato dominante nel Regno Unito, facendo esplodere i contagi e le vittime. Secondo virologi ed epidemiologi, questa variante ha un tasso di contagiosità più elevato, ma non è ancora chiaro se sia causa di una letalità maggiore.
I vaccini ad oggi in commercio hanno dimostrato una buona efficacia contro la variante inglese, mentre alcuni test condotti su alcuni campioni hanno mostrato una mutazione chiamata E484k e già osservata nelle varianti che hanno avuto origine in Brasile e Sudafrica. Per ora si tratta di pochi casi, ma la circostanza è preoccupante. I ceppi isolati in Sudafrica e in Brasile si sono dimostrati più abili nell’eludere gli anticorpi e dunque potrebbero inficiare anche l’efficacia dei vaccini.
Per questo motivo, in alcune zone in Italia dove sono stati registrati casi che derivano da una di queste varianti, governatori e sindaci hanno stabilito misure restrittive e zone rosse localizzate per cercare di contenere la diffusione del contagio. Ecco la situazione (provvisoria) regione per regione, secondo quanto segnalato finora dai territori.
Tra le regioni dove è stata individuata la variante inglese c’è la Liguria: accertati una decina di casi. Già nei giorni scorsi, però, il direttore del dipartimento di Igiene del Policlinico San Martino di Genova, Giancarlo Icardi, aveva rassicurato: “Non stiamo vedendo un impatto epidemiologico”.
Le varianti Covid preoccupano anche la Lombardia, che lunedì ne contava già 128: almeno una in ogni Agenzia di Tutela della salute, ad esclusione di quella di Pavia. Nei giorni scorsi il 10% dei 1.400 abitanti di Corzano, in provincia di Brescia, è risultato positivo alla variante inglese e per questo le scuole sono state chiuse fino al 15 febbraio. Positive alla stessa variante una persona a Mantova e tre a Crema. Riscontrata la presenza della mutazione inglese anche in due tamponi effettuati a Bergamo.
Sempre in Lombardia l’Istituto zooprofilattico di Brescia ha condotto uno studio attraverso il quale è stato possibile rilevare la presenza delle varianti: ne è emerso che nell’ultima settimana di gennaio, a Brescia, su 517 tamponi positivi il 43% aveva una variante inglese. Soltanto su uno, analizzato sequenziando il virus, è stata trovata la variante la sudafricana.
In Piemonte sono due i casi accertati finora della variante Covid inglese: uno a Vercelli, l’altro a Cuneo. Ad annunciare negli scorsi giorni la presenza della variante inglese in Friuli Venezia Giulia è stato poi il vicegovernatore con delega alla Salute della regione, Riccardo Riccardi: “Secondo quanto ci è stato da poco comunicato, il virus è stato individuato nei primi giorni dell’anno in una donna residente a Trieste, di rientro dall’Inghilterra con un volo da Londra”.
Piuttosto seria la situazione nella Provincia autonoma di Bolzano, dove lunedì 8 febbraio il presidente Arno Kompatscher ha disposto il lockdown a causa del boom di casi, legato probabilmente alla variante venuta dal Regno Unito. Il 4 febbraio era stato accertato un caso di variante inglese proprio nella zona.
Stando al report dell’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie (IZSVe), pubblicato il 29 gennaio, in Veneto i virus Sars-Cov-2 caratterizzati da novembre appartengono a 11 diverse varianti. La variante inglese è stata identificata in alcuni campioni appartenenti a persone provenienti dall’estero, da non attribuire quindi a casi circolanti sul territorio regionale, mentre non è stata riscontrata traccia della variante brasiliana né di quella sudafricana.
In Emilia Romagna, invece, sono sotto osservazione 213 tamponi positivi raccolti il 4 e il 5 febbraio. Da una prima analisi è emerso che circa un terzo di questi test potrebbe contenere la variante inglese: una settantina di casi.
In Toscana c’è preoccupazione per un possibile focolaio di variante brasiliana a Chiusi, in provincia di Siena, diventata zona rossa. Qui è partito uno screening di massa con l’adesione di 5mila abitanti su 8mila. Già il 5 febbraio il sindaco aveva reso noto che era stata trovata sia la variante brasiliana che quella sudafricana nella comunità.
In Umbria, invece, già nelle scorse settimane sono stati individuati 18 casi di variante inglese del virus Sars-Cov-2 e 12 di quella brasiliana, un numero che potrebbe comunque salire dopo i risultati delle analisi di altri campioni. La variante brasiliana si presenta prevalentemente in ambito ospedaliero, mentre quella inglese si riscontra soprattutto sul territorio, in particolare nell’area tra Bastia Umbra, il Perugino e il Trasimeno. Nella regione è stata stabilita la zona rossa su quasi due terzi del territorio.
Nelle Marche la variante inglese si è diffusa in alcune scuole del Maceratese e della provincia di Ancona. Il governatore Francesco Acquaroli ha però rassicurato: “È tutto sotto controllo. Certo, se dovesse evolvere in maniera pesante potremmo valutare provvedimenti più stringenti contro gli assembramenti”.
Anche in Abruzzo circola la variante inglese, soprattutto nell’area metropolitana Pescara-Chieti. Negli scorsi giorni Liborio Stuppia, direttore del laboratorio di Genetica molecolare-Test Covid-19 dell’Università di Chieti, aveva stimato che “il 40% dei casi di coronavirus emersi a Pescara negli ultimi giorni sia dovuto a una variante, molto probabilmente quella inglese, che sta circolando rapidamente sul territorio”.
Sempre in Abruzzo sono stati rilevati tre casi di variante brasiliana nell’Aquilano. Si tratta di una famiglia che tornava in Italia proprio dal Paese sudamericano. Nella regione è stata stabilita la zona rossa per i Comuni di San Giovanni Teatino, Atessa (Chieti) e Tocco da Casauria (Pescara). Un’ordinanza correttiva ha comunque stabilito che è consentito a tutti di recarsi al proprio posto di lavoro e che i sindaci hanno il potere di autorizzare o vietare l’ingresso o l’uscita dal proprio Comune in deroga a tale disciplina.
Preoccupa la situazione in Molise, anche se non è ancora certo che la nuova impennata (144 casi in un solo giorno) sia dovuta a una delle varianti. Intanto è stata disposta la zona rossa in 27 Comuni dall’8 al 21 febbraio.
In Sicilia, infine, sono stati individuati alcuni positivi con la variante inglese, mentre è stata smentita dall’Osservatorio epidemiologico regionale la presenza della variante brasiliana e di quella sudafricana a Palermo.
Redazione Nurse Times
Fonte: Today
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