Le associazioni aderenti al Tavolo immigrazione e salute hanno portato il problema all’attenzione di Speranza e Zampa.
In Italia sono 500mila gli “invisibili“: persone che, pur vivendo sul territorio nazionale, da un punto di vista amministrativo risultano inesistenti. Sono i senza fissa dimora, italiani e stranieri accolti in strutture collettive, senza documenti o permesso di soggiorno, cittadini comunitari in condizione di irregolarità, gli apolidi, una parte della popolazione Rom e Sinti, che oggi rischiano anche di restare esclusi dal piano vaccini. Nonostante le condizioni abitative ad alta criticità in cui spesso vivono rappresentino di per sé un fattore di rischio socio-sanitario.
A sollevare la questione con una lettera inviata al ministro della Salute, Roberto Speranza, e al sottosegretario Sandra Zampa sono le associazioni che aderiscono al Tavolo immigrazione e salute (Tis), tra cui Caritas, Emergency, Medici senza frontiere, Associazione Studi Giuridici Immigrazione (Asgi), Società italiana di Medicina delle migrazioni (Simm), Sanità di frontiera. Chiedono che al più presto vengano emanate Indicazioni nazionali che definiscano le modalità di inclusione nel Piano vaccinale nazionale di queste 500mila persone. E sottolineano la necessità di stabilire la procedura che consenta la vaccinazione a chi si trova in Italia pur non avendo tessera sanitaria, carta di identità, codice fiscale, “prevedendo una flessibilità amministrativa, così come indicato dall’Aifa, eventualmente anche mediata da enti locali oppure da organizzazioni dell’associazionismo e del terzo settore”.
Dai dati forniti dall’Istituto Superiore di Sanità emerge che i casi di positività al Covid-19 sono meno numerosi tra gli stranieri rispetto a quelli riscontrati tra i cittadini residenti. Ma – dicono le associazioni – “tra le persone straniere c’è un certo numero di diagnosi ritardate che, comportando un aggravamento clinico, portano ad una maggiore ospedalizzazione rispetto agli italiani. Il ritardo diagnostico, spesso, è determinato dalla scarsa assistenza socio-sanitaria”.
“Il diritto al vaccino c’è, ma non è praticabile – spiega Marco Paggi, avvocato dell’Asgi –. Aver individuato nel medico di famiglia il tramite per l’accesso al vaccino rischia di tradursi in un ostacolo insormontabile per questa particolare fascia di popolazione. A meno che in ogni Asl non si individui un medico di riferimento per queste persone”.
Nella lettera inviata a Speranza e Zampa le associazioni sottolineano: “Il documento dell’Ecdc ‘COVID-19 vaccination and prioritisation strategies in the EU/EEA’, del 22 dicembre 2020, consiglia di prendere in considerazione, nelle priorità di somministrazione del vaccino, le strutture con scarsa capacità di distanza fisica, compresi i centri per i migranti, alloggi affollati e rifugi per senza tetto. Già a ottobre 2020 l’Ecdc aveva sottolineato l’importanza di includere migranti, rifugiati e senza dimora tra i gruppi target beneficiari dei vaccini”. E concludono: “Anche l’impostazione esclusiva di iscrizione tramite piattaforma nazionale o regionale per la prenotazione del vaccino presso il proprio medico di medicina generale o in altro luogo, potrebbe essere un ostacolo”.
Redazione Nurse Times
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