Rilanciamo l’approfondimento di GVM – Care & Research su questo esame mininvasivo.
La coronarografia è un esame mininvasivo che permette di evidenziare lo stato delle arterie coronarie, i vasi che percorrono la superficie esterna del cuore e portano il sangue ricco di ossigeno al muscolo cardiaco.
La coronarografia permette di evidenziare la presenza di placche di colesterolo che causano restringimenti nelle coronarie, limitando quindi il flusso di sangue. Questo esame è considerato mininvasivo poiché permette di arrivare alle coronarie attraverso l’inserimento di una cannula (dentro la quale inserire la strumentazione necessaria per l’indagine) dal polso (nella stragrande maggioranza dei casi) o eventualmente dall’inguine.
“Si tratta di un esame eseguito prevalentemente su persone con età superiore ai 60 anni – afferma il dottor Roberto Nerla, responsabile di Cardiologia strutturale e della ricerca in Cardiologia interventistica di Emodinamica e cardiologia interventistica endovascolare –, anche se può essere eseguito anche su pazienti più giovani, soprattutto ora che, grazie alle metodiche non invasive come la angio-Tac coronarica, è possibile individuare la malattia coronarica più precocemente. Presso Maria Cecilia Hospital di Cotignola (RA) vengono eseguite oltre 2500 coronarografie diagnostiche ogni anno”.
La coronarografia è indicata:
- nei pazienti con sindrome coronarica acuta (che soffrono ad esempio di infarto miocardico con o senza sopraslivellamento del tratto ST – un termine con il quale si indica la presenza di anomalie dei tratti ST e Q che compongono il tracciato dell’elettrocardiogramma – o di angina instabile, una patologia caratterizzata dalla presenza di dolore al petto a riposo);
- nei pazienti che hanno sospetto di malattia delle coronarie e che presentano sintomi quali dolore al petto (angina), respiro corto o gravi aritmie;
- nelle persone che hanno eseguito in precedenza altri esami diagnostici dai quali è emersa una sospetta patologia coronarica: in questi pazienti la coronarografia permette di evidenziare con certezza se è presente o meno una malattia significativa a carico di una o di più coronarie;
- in coloro che hanno il sospetto di un’alterazione congenita delle arterie coronarie;
- come esame di controllo nei pazienti che devono sottoporsi ad intervento di cardiochirurgia.
L’esame si svolge con la somministrazione di mezzo di contrasto per via intraarteriosa, viene svolto in anestesia locale, e ha una durata non superiore ai 20 minuti. Generalmente, nei casi in cui venga confermato il sospetto diagnostico di malattia coronarica significativa, la coronarografia è associata ad angioplastica, una procedura che permette di dilatare il restringimento che impedisce il libero fluire del sangue verso il cuore. Una volta raggiunto il restringimento, si procede al gonfiaggio di un palloncino così da permettere il successivo posizionamento di uno stent coronarico, un piccolo dispositivo metallico rivestito di farmaco che ha lo scopo di tenere libero il tratto dell’arteria, ripristinando il corretto flusso sanguigno e prevenirne la reocclusione.
Sebbene l’angioplastica possa essere programmata anche in un secondo momento è preferibile eseguirla in concomitanza con la coronarografia, così da non dover sottoporre il paziente a nuova procedura. Nei casi più complessi, invece, come ad esempio quando vi sia necessità di intervenire per trattare più restringimenti, si preferisce valutare il caso all’interno dell’Heart Team – l’equipe multidisciplinare che interviene per il trattamento dei casi più rischiosi o difficili – così da poter avere anche il parere anche del cardiochirurgo.
La coronarografia è spesso eseguita su quei pazienti che devono sottoporsi a intervento di cardiochirurgia: in questo caso l’esame viene eseguito per evidenziare la presenza di una patologia coronarica concomitante così che il chirurgo possa eseguire, in caso di necessità, anche un bypass durante lo stesso intervento.
L’esame non ha particolari controindicazioni: “L’unica accortezza – conclude il dottor Nerla – è riservata a quei pazienti affetti da insufficienza renale avanzata, che avrebbero difficoltà a smaltire il mezzo di contrasto attraverso le urine. Per poter eseguire l’esame diagnostico anche su di loro, cerchiamo di minimizzare la quantità di mezzo di contrasto e adottiamo accorgimenti particolari che permettono di non gravare ulteriormente sulla funzionalità renale”.
Redazione Nurse Times
Fonte: GVM – Care & Research
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