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Come si legge un articolo scientifico?

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Nuovo corso online della Fnopi: “La lettura critica dell’articolo scientifico”
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È necessario l’impegno di tutti gli infermieri per sviluppare una maggiore cultura della ricerca

Gli ultimi anni del secolo scorso e soprattutto i primi anni Duemila hanno visto l’avvento della Evidence Based Medicine, che ha decisamente rivoluzionato l’approccio verso il paziente e il modus operandi degli operatori sanitari; proponendo comportamenti basati su prove di evidenze standardizzabili, validate e riproducibili.

Ecco allora che l’importanza degli articoli scientifici è via via sempre più aumentata; ma di contro anche la difficoltà degli operatori sanitari di scegliere articoli di buona qualità, sommata a quella della conoscenza della lingua inglese.

Ciò ha fatto scaturire l’esigenza di cercare il giusto metodo di valutazione in un mare magnum di articoli registrati. Su Pubmed, solo per citare la banca dati più nota, se ne contano ormai più di due milioni; ma ciò che ci interessa non è certamente la quantità, quanto piuttosto la qualità.

Quando si legge un articolo è necessario avere un proprio spirito critico per poter valutare la validità dei dati, la completezza, i metodi, le procedure, il rispetto dei principi etici, le conclusioni.

Prima di sviluppare questo senso, però, occorre sapere come si struttura un articolo scientifico.

La struttura di un articolo di ricerca si costituisce come segue:

  1. Titolo: capta il lettore e la sua attenzione, dando una prima idea del contenuto.
  2. Abstract: si tratta di una sintesi dell’articolo, che deve avere una lunghezza massima e dà un’idea generale del contenuto sebbene da solo non basti.
  3. Introduzione: in questa parte si ritrova un quadro generale della ricerca, l’ipotesi che si vuole valutare nello studio e le domande a cui si vorrebbe dare risposta.
  4. Metodi: per questa sezione l’operatore deve possedere conoscenze statistiche soprattutto sui tipi di studio; sui criteri di inclusione ed esclusione, sugli strumenti statistici, sulle modalità di arruolamento dei partecipanti, sui fattori di confondimento quali età, sesso, condizioni socio-economiche.
  5. Risultati: qui si riportano i dati emersi dalla ricerca e rappresentati in forma numerica, tabellare o grafica.
  6. Discussione: in questa parte i ricercatori commentano i risultati della ricerca e danno una loro interpretazione secondo il loro punto di vista; è bene precisare che bisogna farsi sempre una propria idea al di là dell’interpretazione espressa dai ricercatori.
  7. Limiti: in questa sezione i ricercatori individuano i punti deboli del loro lavoro che potrebbero essere il numero di partecipanti, le differenze tra i gruppi, la non cecità dei ricercatori, dei pazienti e/o di chi interpreta i dati.
  8. Conflitti di interesse: qui i ricercatori riportano i ringraziamenti, l’origine dei fondi per condurre la ricerca; in questo modo si valuta se i fondi derivano da aziende farmaceutiche di cui il ricercatore potrebbe essere dipendente e che sono più propense a pubblicare risultati positivi su un determinato farmaco oggetto dello studio.
  9. Bibliografia: è l’ultima sezione dell’articolo scientifico e indica i riferimenti; offre non sono un’opportunità di approfondimento, ma anche l’idea di come il lavoro sia stato condotto.

È necessario l’impegno di tutti gli infermieri perché ci sia una cultura della ricerca che spinga gli infermieri stessi ad aggiornarsi, a informarsi, ad avere maggiore consapevolezza che il proprio lavoro può essere migliorato attraverso la ricerca.

Bisogna indirizzare gli infermieri alla lettura di articoli relativi alla ricerca infermieristica italiana e internazionale; a diffondere progetti formativi orientati a formare infermieri che sappiano leggere i risultati della ricerca in maniera critica.

Il bisogno di migliorare se stessi è importante in quanto la pratica basata sulle prove di efficacia e l’autoaggiornamento sono fondamentali per superare le pratiche obsolete apprese in precedenza. Queste ultime sono ancora oggi, purtroppo, ampiamente diffuse e rappresentano un grande male.

Sì, perché non permettono all’assistito di ricevere la migliore assistenza possibile, che invece è nostro dovere fornire.

 

Anna Arnone

 

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