Cosimo Cicia al Meeting Salute di Rimini rilancia su Ospedale di Comunità e infermiere di famiglia, chiesto a gran voce dai cittadini come emerge dai risultati dell’Osservatorio civico Fnopi-Cittadinanzattiva
“I cittadini si lamentano perché gli infermieri sono pochi. Hanno poco tempo da dedicare al contatto con le persone, anche perché spesso occupati in attività che li allontanano dall’assistenza vera e propria…” sono alcune delle dichiarazioni del dott. Cosimo Cicia, componente del Comitato Centrale FNOPI (Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche) intervenuto a Rimini.
Il cambiamento nelle linee e nei modelli di assistenza legato all’epidemiologia con l’aumento dell’età, maggiori cronicità e non autosufficienza e accresciute fragilità, richiede un cambio di passo anche nella misurazione dell’efficienza che non può più essere basata solo sulla verifica di parametri legati soprattutto all’acuzie. E soprattutto richiede interventi multiprofessionali, realizzati da operatori capaci di integrare le proprie competenze e di lavorare insieme in modo costruttivo verso un obiettivo comune. Di conseguenza appaiono indispensabili una sempre più approfondita conoscenza e una maggiore chiarezza dei ruoli di ciascuna professione.
In questo – ha affermato Cosimo Cicia, componente del Comitato Centrale FNOPI, la Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche che raccoglie gli oltre 440mila infermieri presenti in Italia, intervenendo durante il Meeting Salute di Rimini al think tank “Cronicità – Sistemi a confronto? Capiamo chi ci può veramente curare“ – si esalta la figura dell’infermiere, il professionista della salute che “si prende cura” e che tutela h24 i bisogni di salute dei pazienti non solo nell’ospedale, ma anche se non soprattutto sul territorio e, opportunamente organizzato, a domicilio”.
Cicia ha spiegato che l’introduzione dei missed care (la misurazione degli esiti anche infermieristici), i Nursing Sensitive Outcomes (NSO), per consolidare il contribuito dell’assistenza infermieristica nel percorso di cura del paziente già attuato con successo in alcune Regioni benchmark italiane, rappresenta la sistematizzazione della misurazione dei livelli di assistenza che, al di là della diagnosi e della terapia, caratterizzano ormai gran parte del nuovo modello a cui il Servizio sanitario va incontro e che si svilupperà ulteriormente nei prossimi anni.
Le patologie croniche sono in aumento e aumenta la non autosufficienza. I bisogni di questo tipo avrebbero necessità di un modello nuovo di assistenza che non c’è.
Secondo l’ Oms l’82-85% dei costi in sanità è assorbito dalla cronicità che rappresenta il vero grande problema dei Paesi industrializzati assieme alla crescita esponenziale della spesa sociale, legata all’invecchiamento della popolazione ma anche all’andamento del mercato del lavoro e ai provvedimenti sui sistemi pensionistici.
“Tutti i cittadini in base ai primi risultati dell’Osservatorio civico Fnopi-Cittadinanzattiva – aggiunge Cicia – giudicano gli infermieri professionisti che si rivolgono loro con gentilezza e cortesia, sono disponibili all’ascolto, mostrano vicinanza, comprensione e anche emozioni rispetto ai pazienti. I cittadini si sono sentiti sicuri durante l’assistenza infermieristica e gli infermieri hanno anche fornito a pazienti e parenti informazioni chiare e comprensibili”.
“Ma – spiega ancora Cicia – si lamentano perché gli infermieri sono pochi. Hanno poco tempo da dedicare al contatto con le persone, anche perché spesso occupati in attività che li allontanano dall’assistenza vera e propria”.
Tutto questo accade soprattutto in ospedale, mentre sul territorio c’è quasi il vuoto, tanto che i cittadini vorrebbero avere la possibilità di poter scegliere un infermiere di famiglia/comunità come si fa col medico di medicina generale, vorrebbero trovare gli infermieri nella farmacia dei servizi, avere la possibilità di consultarli in determinati casi come il trattamento di ferite e lesioni cutanee e averli disponibili anche nelle scuole, per bambini e ragazzi che ne potrebbero aver bisogno.
“Nel futuro della sanità – afferma Cosimo Cicia – a fronte dei bisogni di salute della popolazione e in particolare della domanda di cura delle fasce più fragili, gli infermieri sono chiamati quindi ad esercitare un ruolo sempre più incisivo, basato sulla sinergica collaborazione con i medici e gli altri professionisti sanitari, che riconosca le professionalità acquisite e capaci di contribuire ad innalzare la qualità della risposta assistenziale.
La richiesta degli italiani è di potenziare l’offerta di prestazioni infermieristiche sul territorio attraverso i canali del Servizio sanitario e supportare le famiglie nell’acquisto privato, ad esempio tramite i meccanismi della mutualità e assicurativi”.
Gli strumenti secondo Cicia ci sono, ma vanno implementati e adottati da tutti, in tutte le Regioni e in modo omogeneo.
Il primo è l’Ospedale di Comunità, ideato proprio per gestire sul territorio percorsi di cronicità che non possono essere assistiti a domicilio, ma che non devono ricorrere all’ospedale.
“Gli ospedali di comunità – spiega – sono setting territoriali gestiti da personale infermieristico, in cui l’assistenza medica è assicurata dai medici di medicina generale. Pur mantenendo il governo clinico medico in capo ai medico di medicina generale diventa non più sostenibile, né appropriato, governare i processi partendo da logiche monodisciplinari che, oltretutto, non rispondono ai bisogni di cronicità che la comunità ci chiede e che spesso non hanno niente a che fare con la medicina prescrittiva e diagnostica. In questi si rafforza il ruolo non solo gestionale, ma clinico nella valutazione, stratificazione e nella capacità attuativa e certificativa, degli infermieri – ma anche degli assistenti sociali o dei fisioterapisti o di altre professioni sanitarie e sociali . è una strada da percorrere ineludibile e non rimandabile. Se gli Ospedali di comunità hanno bisogno, come lo hanno, di assistenza infermieristica continuativa e qualificata, l’unica presente H24 e in grado di rilevare bisogni e orientare risposte, questa allora deve avere una sua valenza decisionale e autonoma che a oggi ancora non si riscontra, in contrapposizione a tutto il cambiamento culturale che la società ci chiede”.
Il secondo è l’infermiere di famiglia, anch’esso chiesto a gran voce dai cittadini come emerge dai risultati dell’Osservatorio civico Fnopi-Cittadinanzattiva.
“Nelle more del riconoscimento di specializzazioni mirate per la professione infermieristica – aggiunge Cicia – e nell’ottica anche delle indicazioni di livello europeo e nazionale che prevedono l’opportunità dell’adozione di modelli innovativi di prevenzione e gestione proattiva della cronicità, caratterizzati da una forte integrazione dei livelli assistenziali e delle figure professionali coinvolte, appare prioritaria l’istituzione omogenea su tutto il territorio nazionale della figura dell’infermiere di famiglia e di comunità”.
Anche l’Oms nel documento “Health 21” del 1998, introduce la figura dell’Infermiere di famiglia, ritenendo che possa dare un contributo chiave in seno all’equipe multisciplinare di professionisti della salute, al raggiungimento dei 21 obiettivi di salute sostenibile del XXI secolo.
Secondo il documento il “nuovo infermiere” è colui che aiuta gli individui ad adattarsi alla malattia e alla disabilità cronica trascorrendo buona parte del suo tempo a lavorare a domicilio della persona assistita e della sua famiglia. L’obiettivo è mantenere, e migliorare nel tempo, l’equilibrio e lo stato di salute della famiglia, nella comunità, aiutandola a evitare o gestire le minacce alla salute.
“Oggetto dell’assistenza dell’Infermiere di famiglia – spiega ancora Cicia – è l’intera comunità, di cui la famiglia rappresenta l’unità di base. In tal senso l’infermiere di famiglia svolge il suo ruolo nel contesto comunitario di cui fanno parte la rete dei servizi sanitari e socio-sanitari, le scuole, le associazioni e i vari punti di aggregazione”.
“In questo senso – conclude il componente del Comitato centrale Fnopi – ci sono già esempi da imitare nel nostro Paese di Regioni (Lombardia, Piemonte e Toscana ad esempio) che hanno deliberato ufficialmente – anche dopo periodi di sperimentazioni che hanno dimostrato l’efficacia e il successo dell’iniziativa – l’introduzione nel Servizio sanitario regionale di questa figura, prevedendone non solo ruoli e funzioni, ma anche i percorsi formativi, altre (Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Puglia, Valle d’Aosta) hanno attivato sperimentazioni e altre ancora hanno presentato proposte di legge (Lazio, Sicilia) per istituire la funzione dell’infermiere di famiglia”.
Redazione NurseTimes
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