Un infermiere in servizio presso una clinica convenzionata con il servizio sanitario nazionale è stato coinvolto in un caso di falsificazione di documenti riguardante la cartella clinica di una paziente deceduta.
L’infermiere avrebbe redatto un’annotazione falsa nel modulo di gestione della cartella clinica.
L’infermiere sosteneva di aver effettuato una misurazione dei parametri vitali della paziente alle 6:30 del 12 dicembre 2016, quando in realtà la paziente era già deceduta a quell’ora.
Inizialmente, il caso è stato portato davanti al Giudice per l’udienza preliminare, il quale ha assolto l’infermiere dall’accusa di falso ideologico aggravato. Pur ammettendo la colpevolezza dell’imputato, il giudice ha ritenuto che l’atto falsificato, ossia il modulo di gestione, avesse solo una valenza interna e privata, escludendo quindi la rilevanza penale dell’azione.
Successivamente, la decisione del Giudice per l’udienza preliminare è stata confermata dalla Corte di appello, ma per motivi diversi.
La corte ha riconosciuto la natura pubblicistica dell’atto falso affermando che esso era inutilizzabile ai sensi dell’articolo 63, comma 1, del codice di procedura penale. Tale articolo stabilisce che se una persona non imputata o non sottoposta alle indagini rende dichiarazioni che emergono indizi di reità a suo carico, tali dichiarazioni non possono essere utilizzate contro di essa. Pertanto, le dichiarazioni rese dall’infermiere durante l’audizione come persona informata sui fatti non potevano costituire prova contro di lui nel procedimento penale.
Il Procuratore Generale, insoddisfatto della decisione della Corte di appello, ha presentato un ricorso alla Suprema Corte. Il Procuratore ha sostenuto che le dichiarazioni rese dall’infermiere durante l’audizione costituivano una dichiarazione “spontanea” utilizzabile in sede di giudizio abbreviato, in quanto non erano state sollecitate dagli inquirenti.
La Suprema Corte, nella sua sentenza n. 16285/2023 depositata il 17 aprile 2023, ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dal Procuratore Generale.
La Corte ha sostenuto che il ricorso era basato su un vizio di procedura non deducibile, poiché si trattava di una questione di puro diritto. Inoltre, la Corte ha respinto il ricorso poiché lo ha considerato manifestamente infondato.
L’articolo 63, comma 1, del codice di procedura penale italiano stabilisce che se una persona non imputata o non sottoposta alle indagini rende dichiarazioni dalle quali emergono indizi di reità a suo carico, tali dichiarazioni non possono essere utilizzate contro di essa.
Questo principio è conosciuto come “nemo tenetur se detegere” e garantisce il diritto di non autoincriminazione. Pertanto, nel caso dell’infermiere, le dichiarazioni rese durante l’audizione come persona informata sui fatti non potevano essere utilizzate contro di lui nel procedimento penale. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso della pubblica accusa sulla base di questo principio.
Redazione NurseTimes
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