Secondo la Cassazione l’infermiere le competenze le ha e il medico non le può ignorare. La Cassazione, infatti, ha condannato per rifiuto di atti d’ufficio un medico che alla segnalazione di un infermiere sulla necessità di una sua visita a un paziente di 87 anni – poi deceduto – ha risposto negando le competenze dell’infermiere sul caso specifico. Infatti la Cassazione ha sottolineato come, al contrario, le competenze dell’infermiere non possano essere ignorate dal medico.
La Cassazione (sentenza 12806/2021, sesta Sezione penale) ha condannato per rifiuto di atti d’ufficio un medico che alla segnalazione prima di un infermiere, poi di altri due, sulla necessità di una sua visita a un paziente di 87 anni – poi deceduto – ricoverato al reparto di cardiologia invasiva ha risposto negando le competenze dell’infermiere sul caso specifico.
A riportare la notizia è il sito di Fnopi. I giudici hanno precisato che, in linea generale, non ci sono dubbi sul fatto che il sanitario, a fronte di una richiesta di controllo, conservi un margine di discrezionalità nel decidere sull’indifferibile necessità del suo intervento. Una discrezionalità di tipo tecnico, delimitata dalle regole della scienza medica e dall’eventuale presenza di discipline specifiche, anche di rango secondario, come possono essere i protocolli operativi e anche le disposizioni di natura amministrativa, oltre che consentita nei limiti della ragionevolezza.
Ma la Cassazione sottolinea che queste sono enunciazioni di principio.
Quando a richiedere l’intervento del medico sono gli infermieri, figure professionali tecnicamente qualificate, il primo ha «un preciso obbligo di procedere immediatamente a vistare il paziente».
Se non lo fa, scatta il reato di rifiuto di atti d’ufficio. E questo anche se, successivamente, le condizioni del malato – in questo caso deceduto – non si rivelano gravi e non abbia corso un pericolo concreto per l’omissione del sanitario.
A escludere il reato non può essere il fatto che il paziente sia assistito dal personale infermieristico, incaricato di monitorarne le condizioni e la valutazione del sanitario sia fondata su dati clinici e strumentali.
Unica giustificazione, per il medico, è l’essere impegnato in un’assistenza altrettanto urgente.
Ma la Cassazione non ha riscontrato questa evenienza in nessun atto processuale e ha considerato l’atteggiamento del medico un “generico interessamento” non “sorretto da valide ragioni scientifiche non indifferibile, al punto, cioè, che l’eventuale visita, a fronte del vantaggio costituito dalla diretta verifica della situazione clinica del malato, avrebbe però comportato la perdita di tempo prezioso per l’apprestamento di cure per lui salvifiche o, per lo meno, migliorative del suo stato di salute”.
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