Imputato per 15 omicidi, aveva somministrato farmaci in sovradosaggio e in sequenza.
La Corte d’Assise di Busto Arsizio ha condannato all’ergastolo, con tre anni di isolamento diurno, Leonardo Cazzaniga, 64 anni, ex aiuto primario del Pronto soccorso del presidio ospedaliero di Saronno (Varese), imputato per 15 omicidi: le 12 morti in corsia avvenute tra i pazienti del presidio ospedaliero in provincia di Varese e i tre famigliari (marito, madre e suocero) della sua ex amante Laura Taroni, ribattezzata “l’infermiera killer”, a sua volta già condannata a 30 anni di carcere. Tutti decessi, per l’accusa, provocati con farmaci somministrati in sovradosaggio e in sequenza, secondo il cosiddetto “protocollo Cazzaniga”.
L’ex medico è stato assolto da tre dei 15 omicidi contestati nel capo d’imputazione: assolto perché il fatto non sussiste per la morte del paziente Antonino Isgrò, per il quale la perizia super partes disposta dalla Corte non aveva ravvisato un chiaro nesso causale fra la somministrazione dei farmaci e il decesso, e per quella del paziente Domenico Brasca, ultimo caso emerso nell’intera vicenda. Ma anche per non avere commesso il fatto nell‘omicidio di Maria Rita Clerici, mamma di Laura Taroni. L’ex medico è però stato condannato alle pene accessorie dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e dell’interdizione per cinque anni dalla professione medica.
Condannati a 2 anni e 6 mesi, per omessa denuncia e favoreggiamento personale, i medici della commissione nominata dall’ospedale per verificare l’operato del vice primario: l’ex direttore generale dell’ospedale di Saronno, Paolo Valentini, l’ex direttore sanitario Roberto Cosentina, l’ex direttore del Pronto soccorso, Nicola Scoppetta, e il medico legale Maria Luisa Pennuto. La Corte d’Assise di Busto Arsizio ha invece assolto l’oncologo Giuseppe Di Lucca dalle accuse di omessa denuncia riguardo al ricovero del paziente Angelo Lauria, “perché il fatto non sussiste”.
“Non ho nulla da dichiarare”, ha detto dopo la lettura del verdetto il procuratore Gian Luigi Fontana, la cui richiesta al carcere a vita è stata accolta. “Il mio assistito è molto provato, come lo siamo tutti noi”, ha invece commentato Ennio Buffoli, avvocato di Cazzaniga, che ha appreso telefonicamente dallo stesso legale della condanna all’ergastolo. “Rispettiamo la sentenza, ma ci sentiamo liberi di non condividerla – ha aggiunto –. Bisogna spiegare come si sostiene la volontarietà degli omicidi negli ospedali. Leggeremo le motivazioni”. E Gabriella Guerra, sorella di Massimo Guerra, una delle persone morte, ha dichiarato: “Non sono sollevata: la condanna non può lenire il nostro dolore, il modo in cui questi eventi ci hanno travolto, soprattutto i miei nipoti”.
Cazzaniga era presente in aula quando la presidente della Corte, Renata Peragallo, ha letto il dispositivo della sentenza. Nel settembre dello scorso anno aveva ottenuto gli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico nell’abitazione dei genitori, a Cusano Milanino. È stato ricondotto in carcere a Busto Arsizio nel pomeriggio di giovedì. A rimandarlo in cella è stata la decisione della Cassazione, che ha respinto il ricorso della difesa perché fosse revocata l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Milano, che accoglieva il ricorso della procura di Busto e rimandava il medico dietro le sbarre. Il dibattimento, iniziato nel maggio del 2018, ha occupato oltre 60 udienze.
Prima del verdetto, Cazzaniga ha letto una dichiarazione di 15 pagine, scritta a mano in stampatello: “Da qualcuno – verrà intesa come subdolo tentativo di ‘captatio benevolentiae’ . Dico solo che questo è il mio autentico, ‘doloroso sentire’.Pur nell’acuta consapevolezza di essere imputato di 14 omicidi volontari, quindi un ‘demonio’, un ‘killer spietato’, ribadisco di non aver mai agito come Lady Macbeth suggerì al consorte”. Nella sua dichiarazione ha inoltre ringraziato i difensori per quello che ha definito “un percorso titanico”, e la Procura per l’atteggiamento mai privo di rispetto nei suoi confronti. Un ringraziamento lo ha riservato pure agli agenti della polizia penitenziaria di Busto e a Stefano Binda, accusato dell’omicidio di Lidia Macchi e poi riconosciuto innocente, “prezioso compagno di percorso penitenziario”. Infine un pensiero agli anziani genitori, presso i quali ha trascorso il periodo degli arresti domiciliari.
Redazione Nurse Times
Fonte: Il Giorno
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