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Caregiving: valutare l’invalutabile

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Quante di noi almeno una volta hanno aiutato il proprio nonno o il proprio genitore nell’effettuare tutte quelle attività di vita quotidiana (ADL) durante il periodo successivo al ricovero ospedaliero?

Quando aveva bisogno di andare in bagno, veniva aiutato ad andare al bagno.

Quando aveva bisogno di alimentarsi, veniva aiutato nel mangiare.

Quante famiglie italiane ogni anno, si prendono cura dei propri cari, in maniera volontaria, in quanto non autosufficienti?

Osservando i dati ISTAT, in Italia risulterebbero essere 3.300.000 (ISTAT, 2011).
Caregiver in letteratura è colui che “da (giver=dare) cura (care=cura)”. A differenza del caregiver formale, il quale svolge questo ruolo percependo una retribuzione (come ad esempio badanti o personale sanitario), il caregiver informale è quella figura, spesso rappresentata, volontariamente, da parenti, amici, figli, che effettua la sua attività di caregiving senza percepire nessuna remunerazione.

Purtroppo, oggi, con la rapida crescita della popolazione anziana, con la trasformazione di tante patologie acute in patologie croniche, le persone che avranno bisogno di essere assistiti nella propria casa rappresenta un fenomeno destinato ad aumentare. Forse proprio per questo che anche lo Stato ha iniziato a porsi il problema.

Ultimamente, presso il Senato della Repubblica, è stato consegnato il disegno di legge, n° 2128 – XVII Leg., norme per il riconoscimento ed il sostegno del caregiver familiare. Infatti ad oggi il caregiver informale, a differenza di tanti Paesi Europei, non ha ancora ricevuto un inquadramento legislativo e riconoscimento sociale. Diciamo a differenza di tanti paesi Europei, perché già in alcune realtà, come la Svezia, sono anni che il caregiver informale o familiare, riveste un ruolo riconosciuto e retribuito (Johansson, 2011).

Il disegno di legge, costituito da 7 articoli, definisce chi è il caregiver informale, le tutele e modalità di accesso. Secondo quanto citato, lo Stato, “riconosce e tutela il lavoro di cura nei confronti di familiari conviventi che necessitano assistenza a causa di malattia, infermità o disabilita (ART 1)”. Inoltre “A coloro che in ambito domestico si prendono cura volontariamente e gratuitamente di un familiare…. che risulti convivente e che, a causa di malattia, infermità o disabilità… riconosciuto invalido civile al 100 per cento e che necessita assistenza globale e continua per almeno 54 ore settimanali, è riconosciuta, qualora ne faccia richiesta, la qualifica di caregiver familiare (ART 2)”.

Tale qualifica può essere riconosciuta ad un solo familiare ed il riconoscimento di tale figura preclude a tutti gli altri familiari, la facoltà di godere delle disposizioni della legge 104/92, in relazione allo stesso soggetto assistito. Per accedere ai benefici previsti dalla presente legge viene chiesto al caregiver familiare di esibire certificato che attesti l’invalidità al 100 per cento del proprio caro (ART 7, comma 1b) e la dichiarazione di stato di non autosufficienza (ART 7, comma 1d), valutato attraverso le scale delle ADL e IADL, nelle quali il paziente dovrà ricevere, in almeno in una delle due scale, un punteggio pari a 0 (completamente dipendente).

La deposizione di questo DDL rappresenta, qualora fosse approvato, un primo passo per il riconoscimento della figura del caregiver familiare. Ma quanto potrà essere utile riconoscere una figura senza darle la giusta preparazione? Spesso, quando il paziente viene dimesso dalla struttura ospedaliera e/o riabilitativa, il caregiver non è pronto o preparato a prendersi cura del proprio caro nel gestire e soddisfare quei bisogni primari richiesti dal paziente, come alimentazione, vestizione, cure igieniche, deambulazione ecc.

Come suggerito da un articolo pubblicato da NurseTimes, “ Caregiver familiari, questi sconosciuti” (Biondino, 2016), i caregiver informali non vengo preparati adeguatamente a gestire pazienti durante la reintroduzione presso il proprio domicilio.

Questo accade, perché purtroppo in Italia, per lo meno nelle strutture riabilitative, il caregiver informale viene lasciato fuori dal processo di cura e spesso viene visto come un elemento di disturbo. Ma creare piani terapeutici, dove si prevede il pieno coinvolgimento e addestramento del caregiver sin dai primi giorni della presa in carico del paziente, è fondamentale per far si che il caregiver sia preparato a gestire e riconoscere i principali bisogni del paziente.

Perché è importante dare una giusta preparazione al caregiver?

Spesso i caregiver non sono preparati a ricoprire il ruolo che gli viene affidato, il che provoca loro una grande sensazione di stress e depressione. Come descritto da Shyu et al. (2008), il passaggio da ospedale a casa rappresenta per i familiari un momento difficile, stressante e gravoso. Inoltre in un altro studio, pubblicato nel 2000 (Shyu, 2000) gli autori hanno descritto che i caregiver informali non si sentono preparati nel gestire diverse aree:

  1. dare informazioni riguardo la patologia del paziente e i bisogni da lui richiesti;
  2. monitoraggio dei sintomi e delle complicanze;
  3. gestione delle emergenze;
  4. capacità nel sapere gestire e soddisfare i bisogni emotivi del paziente;
  5. preparazione nel sapere attivare i vari servizi territoriali (Lopez, 2012).

In letteratura diversi studi hanno evidenziato come caregiver familiari poco preparati garantiscano peggior qualità delle cure, inoltre sono caratterizzati da “burden (onere)” (Van Puymbroeck, 2008), tensione (Plank, 2012) e preoccupazioni (Schumacker, 2008).

Inoltre caregiver familiari meno preparati, secondo la letteratura, hanno una qualità di vita peggiore rispetto quelli che hanno una preparazione maggiore. I caregiver invece che presentano una preparazione adeguata manifestano meno ansia, depressione ed hanno un livello maggiore di speranza che il proprio caro abbia una vita soddisfacente.

La mancanza di preparazione dei caregiver familiari nella gestione dei bisogni fondamentali del paziente (Pucciarelli, 2014) può causare un aumento degli errori nelle cure, duplicazione dei servizi e, conseguentemente, il rischio che il paziente venga nuovamente ricoverato presso un’altra struttura ospedaliera (Tao, 2012).

Quando parliamo di preparazione, non si intende la capacità del caregiver di effettuare procedure specifiche riconducibili ad altre figure professionali, come l’infermiere, ma semplicemente la capacità del familiare di accettare il ruolo del caregiver, fornire cure fisiche al paziente, fornire sostegno emotivo ed affrontare lo stress provocato dal caregiving.

Riconoscere la figura del caregiver informale o familiare a livello legislativo, ma allo stesso tempo non creare dei piani adeguati per preparare loro nella gestione del paziente durante la riammissione a casa sarebbe limitativo. Preparazione e riconoscimento dovrebbero essere due variabili che viaggiano sullo stesso binario, in modo tale che il caregiver, oltre ad essere riconosciuto socialmente, abbia anche le conoscenze idonee per gestire i bisogni fondamentali richiesti dalle varie tipologie dei pazienti. Se a livello Regionale, le varie ASL, strutture riabilitative iniziassero a creare piani terapeutici che non prevedono solo il coinvolgimento del paziente nel piano di cura, nella riacquisizione delle proprie capacità fisiche, ma che coinvolgano anche il proprio familiare, dandogli la preparazione adeguata, troveremo sicuramente caregiver familiari meno stressati e con una qualità di vita migliore, nonché pazienti più soddisfatti dell’assistenza che i propri familiari, amici o coniugi forniscono. Alla luce della complessità e importanza del ruolo che i familiari svolgono, vi è una necessità di una maggiore conoscenza per quanto riguarda la preparazione nel caregiving. La letteratura ci suggerisce che l’inserimento della preparazione nei modelli assistenziali è fondamentale.

Per esempio potrebbero essere creati piani terapeutici, nella fase riabilitativa, che abbiano come obiettivo quello di aumentare la preparazione del caregiver informale nel dare cure, tra cui, ad esempio, l’assistenza pratica, la comunicazione e/o sostegno emotivo al paziente. Una valutazione della preparazione, attraverso la somministrazione nelle varie strutture riabilitative della Caregiver Prepardness Scale, validata in Italia da Pucciarelli et al. (2014), potrebbe aiutare il personale sanitario ad identificare quei caregiver familiari che sono più a rischio di esiti negativi del caregiving, e quindi dar loro maggior supporto.

Attraverso tale scala, potrebbe essere possibile valutare quale siano le carenze maggiori del familiare e quindi creare piani individuali che possano migliorare le proprie conoscenze.
Speriamo che il DDL sia solo un primo passo verso l’identificazione sociale del caregiver nonché il primo passo verso un miglior addestramento dei caregiver a livello Nazionale, che dia loro maggiore preparazione nel momento in cui debbano gestire ed assistere il proprio “paziente” dopo la dimissione dalla struttura ospedaliera.

Rosalynn Carter, moglie del 39esimo Presidente degli Stati Uniti, una volta disse:E’ stato detto che ci sono quattro tipi di persone: quelli che sono stati caregiver, coloro che attualmente sono dei caregiver, quelli che saranno caregiver e coloro che avranno bisogno di un caregiver”. Con questa frase voglio concludere dicendo che il ruolo del caregiver informale è un compito intimo e personale, ma anche un ruolo di vasta portata che tocca tutti in qualche modo.

Gianluca Pucciarelli

Bibliografia
1. Parlamento. Atto Senato n° 2128 XVII Legislatura. 8 marzo 2016. Osservato il 10/04/2016 su www.senato.it

2. Johansson L, Long H, Parker MG. Informal caregiving for elders in Sweden: an analysis of current policy developments. J Aging Soc Policy. 2011; 23(4): 335-53.

3. Biondino A. Caregiver familiari, questi sconosciuti. 14 aprile 2016. Osservato il 14 aprile 2016 su www.nursetimes.org

4. Lopez-Hartman M, Wens J, Verhoeven V, Remmen R. The effect of caregiver support interventions for informal caregivers of community-dwelling frail elderly: a systematic review. Int J Integr Care. 2012; 12: 133-143;

5. Van Puymbroeck M, Hinojosa MS, Rittman M. Influence of sense of coherence on caregiver burden and depressive symptoms at 12 months poststroke. Top Stroke Rehabil. 2008; 15(3): 272-282.

6. Plank A, Mazzoni V, Cavada L. Becoming a caregiver: new family carers’ experiences during the transition from hospital to home. J Clin Nurs. 2012; 21: 2072-82;

7. Schumacker KI, Stewart BJ, Archbold PC, Caparro M, Mutale F, Agrawal S. Effects of caregiving demand, mutuality and preparedness on family caregiver outcomes during cancer treatment. Oncol Nurs Forum. 2008; 35:49-56;

8. Pucciarelli G, Savini S, Eeeseung B, Simeone S, Barbaranelli C, Vela R, Alvaro R, Vellone E. Psychometric properties of the caregiver preparedness scale in caregivers of stroke survivors. Heart & Lung. 2014; 1-6;

9. Tao H, Ellenbecker CH, Chen J, Zhan I, Dalton J. The infuence of social environmental factors on rehospitalitation among patients receiving home health care services. ANS Adv Nurs Sci. 2012; 35: 346-358;

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