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Camera: interrogazione parlamentare sul precariato infermieristico

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Viene presentata dal deputato Rondini Marco in data 13/10/2015 seduta n. 501, un’interrogazione parlamentare a risposta scritta (4-10723) rivolta al ministro della salute Beatrice Lorenzin sull’attuale situazione di precariato in cui versa la professione infermieristica.

Rondini Marco parlamentare della Lega Nord è un odontotecnico.

Di seguito il testo dell’interrogazione parlamentare.

Al Ministro della salute . — Per sapere – premesso che:
agli infermieri di oggi si chiedono competenze sempre più specifiche, in linea con la rinnovata domanda di salute della comunità, e più partecipazione al compimento del percorso terapeutico, che prevede, oltre all’utilizzo degli strumenti di cura tradizionali, anche l’interazione con nuove tecnologie.

Tutto ciò avviene però in un quadro organizzativo che rimane spesso inalterato, dove l’aiuto proveniente dagli operatori socio-sanitari non è in grado, da solo, di scongiurare il rischio di default; a ciò si aggiungono alcune specificità del «mestiere» non secondarie quando si ragiona di numeri e di piante organiche.

Ad esempio, quella dell’infermiere è una professione altamente invalidante e attualmente, quasi il 50 per cento del personale negli ospedali ha delle limitazioni riconosciute dalla medicina del lavoro. C’è poi la prevalenza della componente femminile nella professione, una caratteristica che ha portato il ricorso al part-time con punte del 25 per cento in alcune aziende sanitarie.

È questo un deficit di operatività che non può essere considerato trascurabile; appare indifferibile una riorganizzazione dell’intero sistema relativo all’impiego e alla valorizzazione delle professionalità;

tra le richieste della categoria vi è la trasformazione dei collegi in ordini e la successiva regolamentazione dovrà tenere conto di alcuni aspetti critici: superamento delle province, domicilio professionale, regole elettorali, limitazione del numero dei mandati;

la legge sugli ordini, oltre a rinnovare quella attuale che risale al 1946, consentirebbe anche un maggior potere di controllo e di sanzione da parte dei nuovi organismi, permettendo una azione più incisiva rispetto, ad esempio, all’abusivismo e la possibilità di difesa e tutela di quanto scritto nel codice deontologico.

Non si tratterebbe quindi di una ricerca di autoreferenzialità e corporativismo, ma di affermazione maggiore di legalità e di verifiche a tutela della migliore assistenza ai pazienti e della professione degli stessi infermieri;
le previsioni del comma 566 dell’articolo 1, della legge di stabilità 2015 rappresentano unicamente la cornice normativa al quadro già disegnato nei fatti in tutta Europa (e non solo) e in gran parte d’Italia.

L’infermiere specialista esiste già nei fatti proprio perché all’estero è una carta considerata ottimale per la gestione dell’assistenza e del sistema e in Italia le regioni lo pongono in ruoli anche di coordinamento per snellire il sistema (ridurre le liste di attesa, evitare interventi inappropriati e altro), portando così anche a un risparmio di spesa;

la libera professione è stata finora uno sbocco naturale dell’impossibilità di lavoro nelle strutture pubbliche, ma rappresenta in realtà un possibile valore aggiunto della professione infermieristica, per questo è necessario prevedere linee guida per lo sviluppo della libera professione intramoenia e linee guida per le convenzioni per l’esercizio libero-professionale.

Si pensi solo che, secondo il Censis, in un anno gli italiani hanno chiesto a livello privato e per far fronte alle carenze del servizio pubblico, 8,7 milioni di prestazioni infermieristiche sul territorio, pagando di tasca propria 2,7 miliardi di euro.

Gli infermieri attualmente, al contrario dei medici che esercitano la libera professione e possono anche erogare, se dipendenti, prestazioni libero professionali in intramoenia, non hanno regole e spazi certi per la loro attività al di fuori delle strutture del servizio sanitario nazionale e la Federazione Ipasvi intende in questo senso realizzare linee guida e dare maggiori garanzie ai professionisti e ai pazienti, anche prevenendo un vero e proprio accreditamento sotto il controllo dei collegi del singolo professionista;

attualmente molti giovani infermieri (e tra i migliori ovviamente viste le selezioni da superare) rispondono alla richiesta di professionisti che arriva da altri Paesi europei, Inghilterra in testa, dove ad esempio sono retribuiti con un salario iniziale di circa 17.794 sterline, poco meno di 24 mila euro, che diventano 21.000 sterline, 28 mila euro, al momento della registrazione con l’NMC (Nursing and Midwifery Council, i collegi inglesi in pratica), contro i 33 mila euro medi (quindi tra giovani e anziani) che sono lo stipendio 2013 dell’infermiere italiano; perché l’emorragia si fermi e perché chi ha trovato lavoro all’estero possa tornare nel suo Paese, andrebbero risolte alcune questioni, semplici sulla carta, ma che da anni sono la spina nel fianco del servizio sanitario nazionale;
le difficoltà di impiego nel nostro Paese impongono di prevedere percorsi con forme di tutela di giovani che vanno all’estero, sia per facilitare l’esercizio nei Paesi europei, sia per facilitare il rientro: prima di tutto occorre affrontare lo sblocco del turn over che attualmente impedisce di avere organici adeguati all’assistenza (in un anno la National Patient Safety Agency (NPSA) inglese ha registrato più di 30mila incidenti riguardanti la sicurezza del paziente correlati a problemi di organico e la mancanza di infermieri secondo studi internazionali consolidati, aumenta del 7 per cento il rischio di mortalità dei pazienti), soprattutto nelle regioni in piano di rientro, ma fa sì che anche le regioni con i conti in salute impediscano la mobilità del personale per non perdere elementi necessari all’assistenza, visto che le possibili assunzioni sono ridotte all’osso; legata a quanto già illustrato con riferimento agli infermieri all’estero è la situazione occupazionale degli infermieri italiani che sta per diventare un vero e proprio allarme per l’assistenza.

Le prime anticipazioni del conto annuale del Ministero dell’economia e delle finanze (Ragioneria generale dello Stato) indicano nei primi tre quarti del 2014 una riduzione dello 0,59 per cento degli organici rispetto al 2013. Significa che al servizio sanitario nazionale sono mancati in un solo anno (e i dati non sono ancora completi ipotizzando quindi una perdita anche maggiore), circa 3.900 operatori, già calati di oltre 5.600 unità tra il 2013 e il 2012.

Dal 2009, primo anno del blocco del turn over, il servizio sanitario nazionale ne ha persi fino al 2013 circa 23.500 (-3,4 per cento) e aggiungendo queste ulteriori perdite si sfiorano i 30mila professionisti in meno.

Per quanto riguarda in particolare il personale infermieristico, il calo previsto in base alle anticipazioni per il 2014 è di quasi 1.200 unità (-0,41 per cento). Dal 2009 il servizio sanitario nazionale ha quasi 3.200 infermieri in meno (-0,50 per cento circa) di cui poco meno di mille sono quelli persi tra il 2013 e il 2012 –:

se il Ministro sia a conoscenza della situazione e se intenda assumere iniziative, confermando in via definitiva il nuovo modello di sviluppo professionale e sistemando definitivamente la questione del precariato alla quale oggi è stata data una soluzione solo parziale e per lo più tale da produrre un effetto «placebo», al fine di consentire inquadramenti limitatissimi e solo di alcune tipologie di personale, valorizzare le professionalità acquisite soprattutto dagli infermieri italiani provenienti dall’estero e predisporre una disciplina di verifica ed equiparazione dei titoli di studio. 

Massimo Randolfi

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