La triste odissea vissuta da una bimba di appena due anni, affetta da polmonite bilaterale da Covid-19, testimonia quanto sia difficile la situazione della sanità calabrese.
Immaginate una clessidra, di quelle di vetro trasparente, che contengono sabbia colorata. Quando la clessidra si capovolge i granelli iniziano a cadere, il tempo passa e, se non si rimette dritta la clessidra, i granelli continuano a scorrere veloci, per poi terminare. Tempo scaduto. Questo è quanto accaduto alla piccola Ginevra, che ha lottato contro il tempo e la malasanità calabrese, per poi perdere tutti i granelli della sua clessidra, morendo a soli due anni.
Ginevra viveva a Mesoraca, un paesino in provincia di Crotone. Un paese così piccolo che, quando Ginevra inizia a stare male, non esiste un ospedale per curarla tempestivamente. Allora la bambina viene trasportata a Crotone, che dista almeno trenta minuti da Mesoraca. Una volta a Crotone, le viene diagnosticata una polmonite bilaterale da Covid-19. Le condizioni peggiorano e l’ospedale non è in grado di assistere la piccola, che viene allora trasferita all’ospedale di Catanzaro, distante 70 chilometri. Ma a Catanzaro, come in tutta la Calabria, non esiste un reparto pediatrico capace di occuparsi delle condizioni cliniche di Ginevra. La bambina, ormai gravissima, viene trasferita a Lamezia terme (altri 50 chilometri), par poi volare a Ciampino. Infine arriva esanime all’Ospedale Bambino Gesù di Roma.
Ginevra è un drammatico esempio dello scempio perpetrato ai danni della sanità calabrese, che ha visto chiudere negli anni ben 18 ospedali. Per capire la gravità della situazione bisogna osservare la cartina geografica della Calabria, che racconta come un cittadino, per avere cure necessarie, debba percorrere chilometri e chilometri di strade dissestate, sperando di raggiungere in tempo il primo ospedale utile. In dieci anni di commissariamento, oltre a chiudere 18 presidi ospedalieri, ne sono stati finanziati quattro nuovi, mai realizzati.
Ma come si è giunti a questo? Siamo nel 2010, durante il Governo Berlusconi. Nella XVI legislatura Giuseppe Scopelliti, che è già presidente della Regione Calabria, viene nominato commissario alla sanità dall’allora ministro Giulio Tremonti. Scopelliti ha un preciso mandato: ridurre i costi al fine di far quadrare i conti di un settore schiacciato dai debiti, che in quell’anno ammontano a quasi 200 milioni di euro (quelli “certificati”).
Il 3 settembre 2010 Scopelliti annuncia il suo piano di rientro per la sanità calabrese: chiudere 18 presidi ospedalieri per “aggedire un sistema che aveva solo sfruttato risorse fondamentali”. Le chiusure, previste dal piano di rientro in dieci anni (2010/2020), hanno però portato il debito della sola Asl Reggio Calabria, tra l’altro sciolta per mafia, da 200 milioni a oltre un miliardo di euro.
Insomma, i debiti sono aumentati e la gente non ha dove curarsi. In due anni di pandemia, nonostante le grida d’aiuto disperate del popolo calabrese, non si è assicurato il diritto alla salute a chi vive in questa regione. Cittadini abbandonati alla sorte, e alla speranza che la clessidra del tempo non si consumi inesorabile, anche quando hai solo due anni e un futuro davanti spezzato per sempre. Non è ora di intervenire?
Valeria Pischetola
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