Dal Chmp via libera al commercio di Zynteglo. Con le cellule staminali modificate è possibile fare a meno delle trasfusioni.
Nei vecchi libri di medicina la chiamavano “anemia mediterranea”. Diffusa in quell’area a cui deve il nome, gli addetti ai lavori oggi la chiamano beta-talassemia. Il prossimo 8 maggio si celebrerà la Giornata mondiale dedicata alla patologia, ma quest’anno c’è un motivo m più per essere ottimisti: si affaccia all’orizzonte un’ulteriore possibilità di cura grazie alla terapia genica.
Il Comitato per i medicinali a uso umano (Chmp) dell’Agenzia Europea del Farmaco (Ema) ha espresso un’opinione favorevole, raccomandando l’autorizzazione condizionale all’immissione in commercio della terapia genica Zynteglo, sviluppata da Bluebird per i pazienti beta-talassemici trasfusione-dipendenti. Una prima assoluta a livello europeo. «La beta-talassemia – spiega Franco Locatelli, direttore del dipartimento di Oncoematologia e terapia cellulare e genica all’ospedale pediatrico Bambino Gesù – è un gruppo di malattie rare del sangue in cui, a causa di un difetto genico, la produzione di emoglobina è ridotta o assente».
A seconda della mutazione (ne sono note 300) nel gene della beta-globina, una proteina che concorre alla formazione dell’emoglobina, la malattia può essere più o meno severa. Se ne distinguono due forme: quella non -0 -0, in cui l’emoglobina è prodotta in modo ridotto, e quella -0 0, in cui è assente. La cura della forma di betatalassemia grave consiste in trasfusioni di sangue che espongono a notevoli effetti collaterali, primo tra tutti un accumulo di ferro, che può danneggiare diversi organi. «Per questo – dice Locatelli –, oltre alle trasfusioni che hanno l’obiettivo di mantenere adeguati livelli di emoglobina, occorrono una terapia ferro-chelante e trattamenti di supporto. Un peso con ripercussioni sulla vita di ogni giorno e legate alle necessità di sottoporsi a continue cure».
Accanto a questo approccio, una delle possibili soluzioni è rappresentata dal trapianto di midollo da donatore compatibile. Una cura non sempre percorribile (meno del 40% dei pazienti possiede un donatore compatibile) e dai rischi non indifferenti. La terza soluzione, oggi già realtà per chi ha partecipato agli studi sperimentali, si chiama terapia genica. Dato che le malattie genetiche sono causate da un difetto in un determinato gene, inserendo dall’esterno una copia funzionante è possibile ristabilire la corretta funzione di quel gene. Oggi, per esempio, alcune malattie rare del sangue come Ada-Scid (il cui trattamento è diventato il primo farmaco salvavita di terapia genica approvato al mondo), la leucodistrofia metacromatica e l’adenoleucodistrofia possono essere affrontate con successo attraverso la terapia genica.
«Nel caso della beta-talassemia – prosegue lo specialista – il primo passo prevede il prelievo delle cellule staminali del sangue periferico dei malati. Successivamente, per ristabilire il corretto funzionamento di queste cellule e dei globuli rossi, si inserisce una copia funzionante del gene della beta-globina (-globina At87q). Infine le cellule staminali corrette vengono nuovamente infuse nei pazienti per via endovenosa, così da favorire l’attecchimento nel midollo osseo».
Sperimentata su pazienti trasfusione-dipendenti, la terapia genica sviluppata da Bluebird Bio si è dimostrata efficace nel riportare i livelli di emoglobina a un valore quasi normale. «Grazie a questo approccio nella larghissima parte dei pazienti – aggiunge Locatelli – non sono state più necessarie le trasfusioni». Un risultato frutto dell’analisi di diversi studi clinici Northstar, che hanno indotto il Chmp a esprimere opinione favorevole sulla commercializzazione per i pazienti trasfusione-dipendenti non -0 -0 a partire dai 12 anni di età.
Spesso diagnosticata in fase prenatale grazie allo screening genetico, la diagnosi non deve spaventare. «Se c’è un messaggio per i futuri genitori che si trovano nella situazione di dover considerare una possibile interruzione di gravidanza, è che, con la terapia genica, la beta-talassemia sarà una malattia definitivamente curabile», conclude Locatelli.
Redazione Nurse Times
Fonte: La Stampa
Lascia un commento