Uno studio internazionale ha dimostrato che basta una singola infusione delle proprie cellule staminali emopoietiche.
Liberi dalle trasfusioni grazie alla terapia genica e con una qualità di vita notevolmente migliorata. In uno studio internazionale, il più grande fino a oggi sulla terapia genica per una malattia del sangue ereditaria, l’89% circa dei pazienti con beta talassemia considerati nel campione, che dipendevano da regolari trasfusioni di sangue per sopravvivere, sono rimasti senza trasfusioni per tre anni dopo aver ricevuto una singola infusione delle proprie cellule staminali emopoietiche, alterate per correggere la mutazione genetica che aveva causato la malattia.
A presentare i nuovi dati, al congresso della Società americana di ematologia (Ash), è stato Franco Locatelli, direttore del Dipartimento di Onco-ematologia e terapia cellulare e genica all’ospedale Bambino Gesù di Roma. Tutti i pazienti avevano una grave forma di beta talassemia, una malattia ereditaria in cui l’organismo produce pochissima emoglobina. La malattia è causata da un’ampia gamma di mutazioni nel gene della beta-globina.
I pazienti nello studio hanno ricevuto le proprie cellule staminali emopoietiche, prelevate e geneticamente modificate aggiungendo una o più copie sane del gene della beta-globina. Nell’analisi degli esiti a lungo termine è stato considerato un totale di 63 pazienti arruolati in quattro studi consecutivi. Prima della reinfusione delle cellule gli stessi pazienti sono stati trattati con chemioterapia. Dopo aver completato due anni di follow-up, i pazienti potevano arruolarsi in uno studio a lungo termine per continuare il follow-up fino a 15 anni.
L’attuale studio riporta i risultati per i pazienti che sono stati seguiti per un massimo di sette anni (mediana di 3,5 anni). In totale, 49 pazienti hanno raggiunto l’indipendenza dalle trasfusioni e tutti sono rimasti indipendenti dalla trasfusione a tre anni di follow-up. Un altro studio separato che valuta la qualità della vita ha mostrato inoltre marcati miglioramenti nella capacità di lavorare, frequentare la scuola ed essere fisicamente attivi dopo la terapia genica.
“Il messaggio principale che arriva dai nostri risultati – afferma Locatelli – è che la terapia genica, che aggiunge geni sani alle cellule staminali, è un’opzione terapeutica valida, sicura e potenzialmente curativa per molti pazienti con beta talassemia. La terapia genica ha infatti portato il 90% dei pazienti in fase 3 all’indipendenza dalle trasfusioni ed i risultati sono stabili nel tempo. Va inoltre sottolineato che, se la beta talassemia può essere curata con un trapianto di cellule staminali sane da un donatore compatibile, questa opzione non è però disponibile per il 75% dei pazienti che non dispone di un donatore”.
Tale terapia (betibeglogene autotemcel) è stata approvata dalla Fda degli Stati Uniti ad agosto come prima terapia genica per beta-talassemia per adulti e bambini. Resta tuttavia il problema dei costi: “L’azienda produttrice della terapia genica – spiega Locatelli – ha ottenuto un rimborso di 2,8 milioni di dollari per trattamento negli Usa, ma la produzione in Ue è stata sospesa nonostante l’okay dell’Agenzia europea dei medicinali per una mancata copertura di costi dell’azienda rispetto ai rimborsi delle agenzie governative Ue. Solo in Italia sarebbero infatti almeno 1.000 i pazienti candidabili, per un costo di 3 miliardi di euro”.
I pazienti italiani sono dunque “scoperti”? In realtà esiste una valida alternativa. “Abbiamo già presentato a giugno i dati di un altro studio sulla riattivazione dell’emoglobina fetale tramite la tecnica Crispr, che agisce sulla sequenza di Dna interessata – conclude Locatelli -. Si è visto che 42 dei 44 pazienti talassemici trattati, il 95%, hanno raggiunto l’indipendenza da trasfusioni, ed ora parte la sperimentazione pediatrica. Al momento i pazienti hanno un’alternativa entrando in questi studi clinici ma entro un anno dovrebbe esserci il via libera delle autorità e la disponibilità commerciale anche per questa terapia, i cui costi non sono però ancora noti”.
Redazione Nurse Times
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