Riceviamo e pubblichiamo una nota con cui gli interessati lamentano la probabile mancanza di una proroga dell’incarico, nonostante i sacrifici compiuti durante la pandemia.
Da “eroi” a “infermieri usa e getta”, a “vagabondi”. È così che siamo stati definiti da chi invece dovrebbe integrarci nel personale sanitario. Secondo molti, non dovremmo lamentarci, poiché siamo stati “ben retribuiti”. Ma retribuiti di cosa? Il nostro monte orario era fissato dapprima a 35 ore settimanali, poi a 18 e poi a 12, e quelle sono state retribuite, ma in realtà non avevamo orari, e tante volte ne abbiamo fatte molte di più.
A noi non è stato pagato nessuno “straordinario”. Eppure lavoravamo anche di domenica e in tutti gli altri giorni rossi, consentendo l’apertura degli hub per le vaccinazioni persino a Natale, a Santo Stefano e all’Immacolata. Abbiamo firmato un contratto lavorativo privo di tutele, con la consapevolezza che la nostra sia una professione-missione, ed è stato solo l’amore verso il prossimo e verso il nostro lavoro a spingerci a combattere questa battaglia contro un virus sconosciuto, di cui abbiamo avuto paura anche noi che ci siamo trovati faccia a faccia con lui quotidianamente.
Abbiamo firmato un contratto Co.Co.Co. che non prevedeva turni lavorativi. Eppure abbiamo lavorato con dei turni. Paradosso dei paradossi: nel nostro contratto non è prevista neanche la “malattia”. Dunque chi di noi ha preso il Covid non ha percepito stipendio per tutti i giorni di assenza dal lavoro. Per questi e per mille altri motivi fa male sentirsi definire ora “avvoltoi”, dopo essersi spesi così tanto per la comunità.
Non abbiamo esitato a rispondere alla chiamata d’aiuto e siamo entrati in servizio non appena ve n’è stata la possibilità, ma adesso a lanciare un urlo d’allarme siamo noi. Ci sentiamo ignorati e abbandonati dalla nostra classe politica, dalle istituzioni, anche dai cittadini, che pure sanno quanto abbiamo lavorato per loro. Persino dal nostro sindacato, che, piuttosto che tutelarci, dopo aver rappresentato la nostra situazione in tutti questi mesi, con turni estenuanti, festivi e straordinari mai pagati, ha saputo solo risponderci: “Chi vi ha detto di farli?!”. Alcuni hanno addirittura ironizzato con un “Ora che vi scade il contratto, venite a fare le pulizie a casa mia”.
Ci sentiamo usati e presi a pesci in faccia. Sentiamo addosso il peso dell’irriconoscenza. Noi c’eravamo durante la pandemia, abbiamo aiutato nella gestione e prevenzione del Covid negli ambienti scolastici e successivamente negli hub vaccinali, effettuando oltre 1.000 vaccinazioni al giorno, rischiando la nostra stessa vita e quella dei nostri cari. Tanti di noi sono stati trasferiti addirittura nei reparti ospedalieri e nei pronto soccorso per sopperire a ferie e a turni massacranti degli infermieri già presenti nelle medesime strutture con contratto a tempo indeterminato. E ogni volta che è stato fatto presente che si trattava di impieghi diversi rispetto a quelli previsti dai nostri contratti la risposta è stata: “O accetti o te ne vai a casa!”.
Dopo l’ennesimo rinnovo dei nostri contratti, sempre con la stessa formula, e la drastica riduzione delle ore a 12 settimanali, non ci è stata data alcuna speranza sulla possibilità di una prossima proroga, poiché sostengono che non ci sarebbero fondi. Ma allora che fine hanno fatto e che fine fanno ogni giorno i soldi destinati alla sanità calabrese? Si parla tanto della grave carenza di personale e della difficoltà sanitaria, tanto sbandierata dal presidente regionale Roberto Occhiuto, e ora 81 operatori sanitari saranno davvero mandati a casa?
Redazione Nurse Times
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