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Asl Napoli 1, in arrivo gli ispettori antimafia

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Nominata la commissione di accesso all’Azienda sanitaria per verificare la sussistenza di infiltrazioni camorristiche al San Giovanni Bosco.

Sarà approfondita, e non solo dal punto di vista giudiziario, la vicenda dell’ospedale San Giovanni Bosco di Napoli, controllato dall’Alleanza di Secondigliano, che vi spadroneggiava, controllando appalti, parcheggi, esami di laboratorio. Il prefetto Carmela Pagano, su delega del ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ha infatti nominato la commissione di accesso presso l’Asl Napoli 1 “per verificare l’eventuale sussistenza di tentativi di infiltrazione e/o di collegamenti della criminalità organizzata nel contesto dell’amministrazione della suddetta Asl, nella cui gestione è ricompreso l’ospedale San Giovanni Bosco, interessato da una recente vicenda giudiziaria”.

I componenti della commissione sono il prefetto Santi Giuffré, Maria Teresa Mincione, in servizio al Provveditorato alle Opere pubbliche di Campania, Molise, Puglia e Basilicata, e il dirigente di II fascia Marco Serra, in servizio al ministero dell’Interno. L’accesso avrà la durata di tre mesi, prorogabili una sola volta per altri tre mesi. Obiettivo della commissione sarà comprendere se quanto accadeva nell’ospedale del rione San Gaetano era noto ai vertici dell’Asl, se e quali misure sono state prese per arginare il malaffare.

Il caso è esploso esattamente un mese fa, con un’operazione interforze imponente: 214 indagati, 126 destinatari di misure cautelari, 132 capi di imputazione, un’ordinanza di custodia cautelare di 2.036 pagine e sequestri per 130 milioni. A raccontare quello che avveniva nell’ospedale sono stati due collaboratori di giustizia, i fratelli Teodoro e Giuseppe De Rosa. Attraverso i suoi affiliati, assunti anche come portantini, autisti, infermieri, il gruppo criminale dei Botta, legato strettamente ai Contini, controllava tutte le attività: otteneva appuntamenti per visite e analisi, saltando le liste di attesa; prendeva farmaci gratuitamente; lucrava sulle ambulanze utilizzate illegalmente per trasportare i cadaveri a casa; soprattutto si procurava i falsi certificati medici per truffare le società di assicurazione col sistema dei falsi incidenti. Una miniera d’oro per il clan.

Inoltre, grazie al controllo dei sindacati, i camorristi orientavano nel modo da loro desiderato le scelte della direzione sanitaria. Ecco, per esempio, cosa mette a verbale Teodoro De Rosa, che col fratello Giuseppe ha gestito a lungo il bar e il ristorante dell’ospedale: «I direttori sanitari sono sempre stati a disposizione del clan e pronti ad accettarne le imposizioni, anche perché altrimenti rischiavano». Alcuni medici «erano proprio dalla nostra parte; ad esempio ci informavano se qualcuno della direzione sanitaria non seguiva le indicazioni del clan, che decideva come distribuire gli straordinari alla ditte appaltatrici, visto che su questo c’era bisogno dell’okay del direttore sanitario». Così come «ci sono medici che hanno prestato la loro opera per feriti d’arma da fuoco del clan che non dovevano passare in ospedal.

Il pentito fa una lunga serie di nomi di medici, coperti da omissis perché le indagini sono ancora in corso. Quindi riprende a raccontare gli illeciti commessi all’interno dell’ospedale: «È il Pronto soccorso che fa girare maggiormente gli affari illeciti, in quanto, oltre ai falsi sinistri e ai referti a vario titolo utilizzati per finalità illecite, c’è l’interesse economico del clan dietro la gestione delle ambulanze, che sono di una ditta privata controllata dal clan e dunque riversano sul clan tutti i guadagni. Sfruttano il fatto che i familiari dei detenuti in ospedale se li vogliono portare a casa, mentre ciò non potrebbe accadere per chi è morto in ospedale. Truccano le carte per far apparire le dimissioni da vivo e trasportano il deceduto in ambulanza fino a casa. I famigliari pagano, e la tariffa è 4-500 euro in nero».

È Giuseppe De Rosa a soffermarsi invece sui rapporti tra la camorra e i sindacati: «Salvatore Botta (capo del gruppo criminale, ndr) era un portantino del San Giovanni Bosco. Comandava lui sia nel quartiere sia dentro l’ospedale, nel senso che interveniva con la sua caratura criminale anche per gestire decisioni riguardanti, ad esempio, aperture di reparti dell’ospedale e cose simili, nelle quali poteva servire la sua capacità decisionale, intervenendo, ad esempio, sui sindacati, che potevano tra loro essere su posizioni opposte e ostacolare le decisioni della dirigenza. Se qualche sindacalista non obbediva, lui lo mandava a picchiare».

Redazione Nurse Times

Fonte: Corriere del Mezzogiorno

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